Il Piacere

Il Piacere
di Gaia Di Renzo

Soffocarsi di solitudine o isolarsi nella folla, ingurgitare saliva o vomitare l’eccesso, violentare l’amore o amare la violenza. Accogliere, denigrare, offrire, rubare, giocare, ricordare: come scegli di raggiungere il piacere?

Piacere era fermo ai nostri primi istanti di percezione, nel caldo della materia materna, nutrice ed esattrice. O forse germogliava ancor prima della concezione organica, quando fluttuavamo nella liquida conoscenza assoluta. L’idea di noi esisteva tra i mille modelli di ogni altra cosa, come credeva Platone; in vita avremmo ricordato, non conosciuto, provando un godimento simile a quello che solo un suono o una visione vaga sanno dare, perché capaci di evocare una reminiscenza d’infanzia o una profezia della senilità. A questo Leopardi affidava la sua felicità e di quello anch’io vivo.

Sovente mi ritrovo sospesa in uno stato di sogno causato da una sensazione familiare e intima, profumi soprattutto e da immagini su immagini su altre immagini.

Adoro ricordare. Nonna Mina in pelliccia e ombretto azzurro che mi conduce in chiesa, varcata la soglia, trovo ristoro nel tepore interno che molto spesso mi addormentava. Ero molto curiosa di assaggiare l’ostia, ero piccola ma ancora posso sentire la mia idea della sua consistenza essere delusa con un morso. Lei ne aveva riposta una nel suo fazzoletto per me. Ero felicissima, tanto che la abbracciai, e fu allora che scoprii quanto le pellicce fossero dispettose perché conservavano il calore solo all’interno.

Ho raccontato questo aneddoto tanto personale, e gelosamente taciuto, perché credo che sappia minuziosamente racchiudere la mia forma di piacere: i sensi e il loro ricordo (o la loro idea in me).

Trovo anche che il Piacere e il mio piacere siano strettamente legati al dolore, alla disillusione e mancanza. Ricordare un profumo non è sempre felice, quante volte è capitato di voltarsi per strada con il naso rivolto a un profumo familiare o evocativo? Ne consegue spesso una stretta al cuore. D’altro canto, un madelaine come quello che morse Proust, potrebbe innescare un subitaneo entusiasmo.

È così che io vivo, in bilico tra piacere e dolore, dipendenti entrambi dal mio pensiero. Pensiero che sa controllarmi e appagarmi, premiarmi con i cioccolatini, che nel mio caso sono le immagini della vita onirica. La notte è una festa coricarmi, la mattina è una fatica dilettevole ricordarmi cosa ho visto e chi ho incontrato, senza contare l’infantile speranza di trovare una fotografia o una traccia di quello che ho toccato in sogno. Che scenari mozzafiato e quanti gioielli rubati!

In queste righe tanto intime e forse noiose, sento l’eco delle voci di filosofi, scrittori, giornalisti e altrettanti uomini che dibattono sul piacere e io, ignorante delle loro tesi, sono conscia di averne esposte alcune, le altre teorie le saprà spiegare il resto dell’umanità che ha trovato, o è alla ricerca, del proprio personale giovamento altrove. C’è chi lo cerca nel piacere, chi nella perdita, chi nei sobborghi e chi alla luce del sole, ma tutti hanno in comune il tentativo di punzecchiare e strattonare un po’ il nulla in cui ci si trova o il vuoto che si teme.