Le Rose Rosse di Lucrezia

Le Rose Rosse di Lucrezia
Di Martina Boselli

Quando mi è stato proposto di prendere parte alla rubrica “Ritratte in famiglia”, proprio come Rosanna, anche io ho pensato subito a mia nonna.

Scrivere questo pezzo è stato piuttosto difficile, sia per l’inevitabile emotività che ha portato con sé, sia perché mi sono resa conto di quanto, a volte, poco sappiamo della vita delle persone che ci stanno intorno. Lucrezia per me è sempre stata sempre e solo mia nonna, prima di essere una persona, una donna, una moglie. 

Parlando con mio padre per racimolare qualche informazione in più su di lei e sulla sua vita, mi sono resa conto di come la sua storia si intrecci profondamente con quella del nonno; per cui vi avviso: questa non è solo una storia ma è, più di tutto, una storia d’amore. 

Lucrezia fa sentire il suo primo vagito al mondo un lunedì di giugno del 1921, in un piccolo paesino della campagna bresciana che si chiama Urago D’Oglio.  Nata sotto il segno dei gemelli, raccontava tra i suoi ricordi d’infanzia di mamma Angela e della sua passione per il canto, di una famiglia povera e numerosa (erano almeno 6 fratelli). 

L’episodio che la costrinse a crescere, per così dire, riguarda una bambola, probabilmente anche l’unica che possedeva, che suo fratello maggiore gettò in un fosso. Anche a tanti anni di distanza, la nonna ricordava questo avvenimento con tristezza, come se questo evento avesse effettivamente segnato la sua infanzia, demarcando il suo passaggio verso l’età adulta (sebbene la nonna fosse ancora, a tutti gli effetti, una ragazzina). 

All’età di 12 anni si trasferì in città, a Legnano, per lavorare. Ai tempi era consuetudine che le grosse fabbriche manifatturiere si procurassero il personale recuperando manovalanza nelle campagne limitrofe, attingendo alle famiglie povere e contadine; soprattutto donne nel caso di tessiture e filature. Era usanza che le suore le ospitassero in un convitto con dormitori e mense al femminile, ed è in questo contesto che Lucrezia si ritrovò a vivere. 

Ricordo che mi raccontò di quando, insieme ad un’amica, fumò una sigaretta di nascosto e passò le ore successive a tossire. Appena arrivata lì, le vennero offerti vitto e alloggio senza che la nonna dovesse lavorare: allora era troppo magra e andava “rimpinzata”. 
Trascorse la prima parte della sua vita in quel luogo e se n’è andò che aveva più di 30 anni, dopo aver conosciuto il nonno

La nonna visse il periodo della guerra lì, mentre il nonno venne mandato a combattere non appena compiuti i 18 anni di età. Prese parte, suo malgrado, alla campagna d’Albania, ed in seguito venne fatto prigioniero in Germania, arrivando infine in Polonia dove fu costretto a costruire ferrovie per i tedeschi. Quando gli alleati lo liberarono, il nonno pesava 40 kg e ci raccontò di come lui ed i suoi compagni mangiassero ortiche bollite. Dopo l’armistizio visse la sua personale odissea cercando di tornare in patria a piedi, attraversando la Germania.
Nonostante le disavventure Marino era estremamente bello: riccioli biondi ed occhi azzurri. Nel suo viaggio verso casa viene aiutato ed ospitato proprio da una famiglia tedesca che aveva perso il figlio al fronte. Chissà cosa vedevano in quel ragazzo, forse quello che anche loro avevano irrimediabilmente perso. Nonostante la famiglia si fosse affezionata al nonno, a Marino, questo non gli impedì di proseguire il suo viaggio di ritorno. 

Anche lui originario dello stesso paese in provincia di Brescia da cui arrivava la nonna, approdò nella città di Legnano per cercare un lavoro ed una vita migliore. Lucrezia e Marino, già si conoscevano di vista: venivano entrambi da un piccolo paesino di campagna e si sa, in quei posti tutti si conoscono. Quando si ritrovarono in città, la nonna lo evitò per i primi tempi, ricordo chiaramente che ci raccontò di come cambiasse marciapiede ogni volta che le capitava di incontrarlo, “andava in giro mangiando polenta e cipolle”, diceva, era un tipico pasto povero dell’epoca. 

Nonostante le difficoltà iniziali, in qualche modo uno entrò nella vita dell’altra e viceversa. Marino riuscì a trovare un lavoro e diede lo stipendio a Lucrezia, con la massima fiducia, perché lei lo conservasse e custodisse. Una volta si presentò in convitto, in procinto di partire e con forte urgenza di incontrare la nonna. Le suore, prese dalle loro faccende, lo ignorarono finché il nonno, un uomo molto dolce ma anche determinato, bestemmiò. Inutile dire che dopo le sue imprecazioni le donne chiamarono subito Lucrezia per fargliela incontrare.  

I due si sposarono nel mese di maggio in paese, trasferendosi poi a Legnano. Il giorno dopo il matrimonio, per fare le consuete foto di rito, si rivestirono con gli abiti da cerimonia e, in bicicletta, andarono dal fotografo.

Come avrei voluto assistere a quella scena!
Entrambi due grandi lavoratori, la nonna è sempre stata un vulcano in procinto di esplodere: urlava, rideva, parlava un sacco – era piena di vita e compensava perfettamente il carattere apparentemente tranquillo del nonno: silenzioso, sorridente, pensieroso ma risoluto. Di entrambi ricordo occhi pieni di amore e grande affinità e collaborazione. E insieme ridevano, ridevano un sacco. 

Sul finire degli anni ’50 la famiglia si allargò con la nascita di due figli maschi (il secondogenito, nonché mio padre, la nonna era convintissima sarebbe stata una femmina – noncurante aveva già preparato nomi femminili e completini da bambina. La delusione (se così possiamo chiamarla) venne poi attutita qualche decennio più tardi, forse per qualche legge divina, quando nacquero ben tre nipotine femmine. 

Lucrezia e Marino hanno vissuto una vita serena, senza troppi fronzoli e senza scossoni.
I ricordi più vividi che ho sulla nonna riguardano lei che canta a squarciagola “Rose Rosse”, proprio come faceva sua mamma, e solo oggi capisco da chi abbia ereditato questa passione.
La nonna ha lasciato questa terra in un caldo giorno nel luglio del 2016, un lustro più tardi del suo unico e solo compagno di vita, trascorrendo i suoi ultimi anni di vita in un ospizio gestito dalle suore, come a chiusura di un ciclo… E non passa giorno in cui non desidererei abbracciarli un’altra volta.