La dipendenza affettiva e l'infelicità

La dipendenza affettiva e l'infelicità

Ognunǝ di noi dovrebbe mettere dei confini, al corpo, ai pensieri, alle emozioni.

È difficile imparare a crearne, a stabilire quanto grandi debbano essere, e nessuno ce lo insegna. Ci insegnano a mangiare, a stare seduti a scuola, a parlare bene, ma nessuno ci insegna che ognuno di noi deve porre dei confini che dicano all’altro: oltre questa linea non puoi andare, questo non lo puoi toccare, questa cosa non puoi dirla.
Confini.
Si impara a crearli dopo aver capito di non averne e di non sapere che tutti abbiamo il potere di poterli creare intorno a noi e al nostro essere.

Io, lui e l’assenza di confini

I primi tempi con lui, intendo a casa con lui, erano fatti di solitudine. 
Perlopiù dormiva fino a tardi, si alzava, preparava il caffè, faceva qualche telefonata standosene comodamente a letto e poi usciva per tornare direttamente a ora di cena. La cena, ovviamente, doveva essere pronta.
Il resto della sera era fatto di telegiornale, film e a letto, per fare l’amore. Quello era l’unico momento divertente della giornata e non potevo lamentarmi. Ma quando mi addormentavo, seppur sessualmente soddisfatta, mi tornava ad invadere un terribile senso di angoscia.

È dura anche doverlo ricordare onestamente, perché quella sensazione di solitudine non mi ha mai abbandonata per tutti gli anni successivi.
Io sono sempre stata un’inguaribile ottimista e pensavo che quello non fosse il vero lui, ma soltanto una versione più professionalmente impegnata. Peccato però che quando non era professionalmente impegnato, ovvero durante i week end, non facesse altro che dormire.

Se qualcosa che andava fatto (secondo lui) non veniva fatto (da me) il risultato erano lunghi silenzi che potevano durare anche giorni. E il motivo non si poteva sapere. Avrei dovuto capirlo da sola e se così non era ero una demente, una scassacazzi, una deficiente, un’imbecille, una che non fa un cazzo.

La sera si usciva raramente, e soltanto durante i primi mesi. I mesi successivi si stava principalmente a casa e qualche volta ci veniva a trovare qualcuno.Tra questi qualcuno c’erano anche delle mie amiche, che iniziarono a dirmi delle cose, del tipo: Ma non uscite mai?, Ma tu sei felice così?

Erano domande che mi spiazzavano sempre un po’. Evidentemente ai loro occhi ero palesemente infelice ma ai miei andava bene così.

Mi andava bene abitare in una casa enorme e lontana da qualsiasi servizio. Mi andava bene dover cucinare sempre ed essere guardata male se osavo non farlo. Mi andava bene anche ascoltarlo mentre diceva che in fondo di cosa potevo lamentarmi, avevo una bella casa e la signora delle pulizie, ma cosa potevo chiedere di più? Mi andava bene stare con un uomo che non faceva altro che dormire. Mi andava bene tutto. Ed ero infelice.

Ma era normale. Per me non poteva esserci nulla di meglio. Gli uomini sono tutti uguali, mi dicevo. Tutti stronzi. Il sesso va bene e mi basta quello. È TUTTO PERFETTO.

Non avevo stabilito nessun confine, gli stavo dando tutto: il mio corpo, i miei pensieri, le mie emozioni e i miei sentimenti. E in cambio ottenevo una casa e una signora che aiutava con le pulizie. Non ricevevo baci né carezze né parole d’amore né complimenti. Nulla.
Eppure restavo lì, imperterrita. Nonostante il vuoto dentro e le strane domande delle amiche. Restavo lì. Mi accendevo quando lui mi dava attenzione e mi spegnevo tutto il resto del tempo, che era tantissimo perché lui, di attenzione, me ne dava pochissima.

Cosa porta una donna a rimanere in una situazione del genere?

Allora ovviamente non ne avevo idea ma oggi sì. Si chiama dipendenza affettiva ed è identica alla dipendenza da sostanze. In pratica, nella coppia si instaura un rapporto di riempimento dei vuoti reciproci, tu riempi i miei (o almeno così sembra) e io riempio i tuoi.
Lo spiega bene la dott.ssa Marsella

L’amore si trasforma in ossessione volta a gratificare sé stessi. Ci si sente intrappolati in un legame dal quale sembra impossibile separarsi e senza il quale ci si sente perduti. Sebbene in ogni relazione, nella fase dell’innamoramento la dipendenza sia parte integrante del rapporto, la stessa diventa patologica quando ci si rende conto che tutto ciò che facciamo ha come obiettivo il tenere a sé l’altro perché in qualsiasi momento potrebbe andare via e lasciarci minando la nostra sopravvivenza.

È, in pratica, una patologia, e come tale va trattata. Ci vuole uno specialista, uno psicologo. Ci vogliono le amiche e la famiglia.
Ma ci vuole, prima di tutto, consapevolezza. Perché fin quando si rimane nello stato in cui mi trovavo io quando pensavo che tutto fosse normale e che anzi, cosa volevo di più?, non si può iniziare nessun tipo di percorso di nessun tipo.
Per questo vi invito, se qualcuna di voi ha qualche dubbio, a chiedervi se siete felici nella relazione in cui vi trovate. Intendo, VERAMENTE felici. Se lui è gentile, se tra di voi c’è dialogo, se sentite di poter essere con lui sempre voi stesse. Se avete ben chiari i vostri confini e se lui li rispetta.
Non lasciate a nessuno il potere di rendervi infelici, a nessuno, e non scegliete di esserlo. Mai, Perché è l’errore più ingiusto che un essere umano possa fare a se stesso.