Vola, soffione, vola!

Vola, soffione, vola!

Testo di Elisa Belotti, illustrazione di Adele Mori

“Piccolo, rosso, a pois. Tutti mi riconoscono, tutti sorridono quando mi vedono e nessuno storce il naso se gli passeggio sulla mano. Io non sono come gli altri insetti. Sono coraggioso: ho una corazza bella spessa che mi protegge e, anche se gli esseri umani credono che il mio color scarlatto sia affascinante, gli altri insetti non la pensano così! Il rosso è associato al veleno e – crediateci o meno – mi ritengono pericoloso. E hanno ragione! Sono un predatore vorace, anche se non si direbbe dalle mie piccole dimensioni. E così quasi tutti mi lasciano in pace e io posso continuare a mangiare, che è ciò che più amo fare”.

Questo pensava tra sé Giotto mentre svolazzava durante una splendida giornata di sole. A differenza di altri insetti, lui non aveva bisogno di stare nascosto o di mimetizzarsi. Molti degli animali che avrebbero voluto mangiarlo avevano paura di lui e gli esseri umani – il vero pericolo per gli insetti – lo consideravano innocuo e addirittura un portafortuna. Nessuno osava fargli del male.

Da quando sono state scoperte la sua voracità e la sua abitudine di nutrirsi dei pidocchi delle piante – “Che delizia!” e Giotto si leccava i baffi al solo pensiero -, gli esseri umani amano avere le coccinelle nei campi agricoli. A Giotto non dispiaceva, in fondo così veniva lasciato in pace. A volte però gli sorgeva una domanda: “E se la smettessero di vedere noi animali solo come utili o inutili per la vita umana?”.

Quel giorno di sole, però, Giotto non aveva voglia di porsi troppi interrogativi. Voleva solo sfoggiare il suo bel rosso acceso e i suoi perfetti pois neri. Mentre stiracchiava le sue ali seduto su un morbido filo d’erba, iniziò a sentire un rumore strano. Non era del tutto nuovo, aveva qualcosa di familiare, un suono che le fece scattare un campanello d’allarme. Si guardò attorno, ruotando su se stesso nell’aria e preparandosi alla difesa, come aveva imparato sin da piccolo. Presto vide la fonte di quel rumore spaventoso: sopra un grosso masso, non lontano da lui, c’era un grosso rospo che riempiva il cielo circostante con il suo gracidare.

L’anfibio aveva adocchiato Giotto da un po’, si era avvicinato sempre di più in modo da averlo a portata di lingua. Era pronto a spalancare la bocca e ad agguantare la coccinella, quando il vento soffiò e dal prato si alzarono leggeri i soffioni. Giotto si girò di scatto e sprigionò una sostanza velenosa e puzzolente che gli insetti come lui usano per stordire i predatori. Poi con un balzo, facilitato dalle sue sei agili zampe, afferrò un soffione in volo e si fece trasportare. “Vola, soffione, vola!” gridò Giotto spaventato, ma era stato abile e scattante e presto si ritrovò in salvo. “Che strano quel soffione! Sembra quasi ci sia aggrappata una coccinella… Ma quello è Giotto!” disse Pina mentre osservava i soffioni in volo e vedeva il suo amico salutarla con le sue sei zampette.