Di Chiara Cozzi
Quante volte noi donne ci siamo sentite dire di iniziare a mettere su famiglia, di sbrigarci ad accasarci, perché il tempo vola e arrivate alla soglia dei quarant’anni non siamo più appetibili come un tempo?
Come se, attraversata quella linea sottile che divide gli enta dagli anta, d’improvviso sfiorissimo e non fossimo più in grado di fare nulla.
E quante volte, quando esprimiamo con convinzione il fatto che, in realtà, non abbiamo intenzione di formare una famiglia veniamo guardate con un misto di compassione, pietà o sorpresa, un po’ come se il nostro interlocutore si trovasse di fronte a un esemplare di alieno in fin di vita?
Sguardo accompagnato dalla tanto odiosa quanto immancabile frase che, addirittura io a neanche 27 anni, mi sono già sentita dire: «Vabbè, ora dici così, ma poi cambierai idea!».
Come se le nostre decisioni e i nostri sentimenti fossero solo una fase (sì, un po’ tipo l’orientamento sessuale, ma se non mi è passata la fase ossessionata da qualsiasi memorabilia horror figuriamoci se potrà mai passarmi quella da childfree…).
Questa è una costante che accomuna le donne di tutto il mondo, e su cui il regista Yunbo Li si concentra nel suo film Ms. Pearl.
Pearl è una donna indipendente, che lavora come conduttrice radiofonica in una trasmissione di successo sull’amore, vive sola con l’amato cagnolino Gugu, ha due fidate migliori amiche ma, alla soglia dei quarant’anni, non ha ancora trovato l’uomo giusto. Decide di imbarcarsi in una svogliata quanto spasmodica ricerca del moderno principe azzurro il giorno in cui la madre la avvisa di aver avuto un malore.
Quante volte anche noi ci siamo trovate dinnanzi alla scelta di fare qualcosa che non volevamo per non creare dispiacere nei nostri genitori? Quante volte abbiamo voluto vederli felici, a nostro svantaggio, e presentarci a casa accompagnate dalla persona che avevano sempre sognato di vedere al nostro fianco?
Pearl comincia frequentazioni diversissime le une dalle altre e ognuna a modo proprio assurda: gli uomini che le si presentano rappresentano la quintessenza dello stereotipo maschile, un’esagerazione decisamente esilarante di questo particolare tipo di fauna umana che strappa un sorriso, e che ci fa ricordare quella volta in cui siamo uscite con quel tipo che proprio non ci piaceva né ci stava simpatico, solo per vedere contenta la nostra migliore amica o nostra madre (se non quando prese per sfinimento). Questi momenti dinamici si interpongono tra sequenze filmiche lentissime e prive di dialogo, in cui l’attenzione è invece tutta dedicata alla solitudine della protagonista.
Solitudine è un concetto spesso considerato negativo, ma Yunbo Li accompagna queste panoramiche solitarie degli spazi e dei paesaggi cinesi con la completa introspezione della protagonista, mostrando allo spettatore che il suo essere sola è in realtà voluto, ricercato e apprezzato. Sola in mezzo al mondo, Pearl si muove con estrema naturalezza, completamente a suo agio, in grado di cogliere la piena bellezza del mondo, le sue facce, i suoi rumori, i suoi sapori e odori. La dimensione individuale è quella che meglio le si confà, perché solo così riesce a essere se stessa.
Dilatando il tempo e lo spazio e non nascondendoci alcun dettaglio, Yunbo Li ci racconta molto più di Pearl di quanto non siano in grado di fare le parole, e ci insegna che, benché socialmente ancora mal vista, la solitudine non è qualcosa di cui aver paura, ma una silente compagna a cui ricorrere nei momenti in cui è necessario e anche curativo ritrovare il proprio sé, la propria dimensione e la propria identità.
Questo è un film in cui ogni donna può rivedersi, ma Ms. Pearl è anche, e soprattutto, un ottimo punto di partenza per riflettere sulla rappresentazione delle donne di un paese lontanissimo da noi non solo geograficamente ma anche culturalmente e socialmente. Da occidentale, infatti, non posso negare di aver ottenuto – senza aver fatto nulla per meritarmelo – dei privilegi in più rispetto alle donne del resto del mondo, e dunque la visione di un film come Ms. Pearl può essere uno spunto più che positivo per tenere sempre in allenamento il proprio occhio femminista e renderlo implacabile nei confronti del tanto odiato male gaze spesso colonialista e razzista.
La verità è che Pearl non è tanto diversa da noi: anzi, la società orientale è in lei massima espressione di indipendenza e autonomia, nonostante una donna non sposata in Cina sia vista in maniera molto più severa che in Occidente.
A ogni modo Yunbo Li, oltre a darci un ritratto tragicomico della condizione di una donna quarantenne single, ci permette anche di confrontarci con i nostri pregiudizi intrinsechi e ci dà la possibilità di conoscere e ampliare la nostra visione e cambiare in meglio. Un cinema che, come la storia, a suo modo è maestro di vita.