Le pubblicità degli assorbenti oggi: rivoluzione o pinkwashing?

Di Elisa Belotti

Alcuni brand di assorbenti, negli scorsi mesi, hanno fatto parlare di sé per via dei nuovi spot pubblicitari trasmessi nel 2020. Districandoci tra critiche e plausi delle diverse fazioni del pubblico, cerchiamo di capire come vengono rappresentate le mestruazioni nella pubblicità oggi, in Italia, e perché questo tema fa così tanto rumore. 

È fuor di dubbio che siano avvenuti numerosi cambiamenti in questo settore e per fare un rapido controllo basta osservare gli spot degli assorbenti diffusi negli anni ’80. Eppure alcune costanti ci sono.
Che la televisione italiana, inoltre, abbia un rapporto complesso con queste pubblicità è chiaro fin dal 1986, quando la pubblicità con Courteney Cox (l’attrice americana celebre per la serie TV Friends) è stata doppiata stravolgendone il messaggio.
Se si osservano lo spot originale e quello trasmesso in Italia, infatti, si nota subito come nel secondo siano state modificate sia le parole italiane che quelle inglesi, concentrandosi sul sostegno che il personale medico dà all’uso dei Tampax, che provocavano e spesso provocano tuttora diffidenza.

Quali sono le costanti presenti ancora oggi?
Solitamente il sangue è assente, sostituito da un fluido blu o rosa, dal colore e dalla consistenza rassicuranti. Nonostante le forti critiche di chi si definisce disgustato guardando questi spot all’ora dei pasti (un momento strategico dal punto di vista commerciale, in quanto la concentrazione di persone davanti al piccolo schermo è molto alta), i liquidi non rossi mostrati servono proprio ad allontanare dalla realtà dell’evento biologico. 

Jennifer Guerra ne Il corpo elettrico sostiene che il «complesso di azioni, stratagemmi e condizionamenti per sottrarre alla vista il sangue mestruale è il passing, così come lo chiama Sharra Vostral: passare per una non-mestruante». E questo avviene perché le mestruazioni e in generale il ciclo mestruale sono considerati una debolezza per chi li sperimenta, quindi anche negli spot pubblicitari si tende a tacerli il più possibile. Le donne raffigurate eludono le conseguenze della fase mestruale, si comportano come se non stessero perdendo sangue. Ciò non significa che durante le mestruazioni non si possano fare determinate azioni, ma è indubbio che il corpo sta attraversando dei cambiamenti (non solo il sanguinamento). Negarli e celarli alla vista fa parte di un processo generale di nascondimento delle mestruazioni. 

Lo stesso è il paragone che spesso il pubblico mette in atto tra gli spot degli assorbenti e quelli sui problemi intestinali o dei pannolini per l’infanzia. Fare ciò significa associare le mestruazioni a qualcosa di sporco e che, di conseguenza, va estromesso dalla sfera collettiva o relegato ai primi anni di vita. Proprio su questo fa riflettere lo spot inglese di Tampax, in cui recita Phoebe Waller-Bridge e che con molta ironia proclama: “L’unico assorbente nascosto all’interno di cose che ti mettono meno in imbarazzo quando le estrai dalla borsa in pubblico”. La pubblicità vede tra questi contenitori assurdi per i tamponi proprio degli escrementi. Parlare di feci o mostrarle è meno disdicevole del fare lo stesso con il sangue mestruale.

È poco realistico, quindi, il modo in cui gli spot rappresentano le mestruazioni. Sempre Jennifer Guerra scrive: «È buffo che il pensiero conservatore, così ossessionato dalla “naturalità” delle cose, così avverso a ciò che considera “contro natura” non possa tollerare il pensiero, la vista o anche solo il discorso attorno a uno dei fatti più naturali che coinvolgono il corpo umano».

Alcune pubblicità, però, si sono mosse in una direzione differente. Ne vediamo due esempi

Un brand che ha fatto molto scalpore negli ultimi mesi è Nuvenia. Lo spot del 2020 vede sulla scena degli oggetti vari che richiamano la forma di una vulva e cantano sulle note di Take Yo’ Praise, il brano del 1975 di Camille Yarbrough.
La pubblicità dal titolo Viva la vulva è stata premiata con più di 60 riconoscimenti in festival creativi e pubblicitari e ha dato vita anche all’omonima mostra d’arte allo Spazio Six di Milano. Questo evento, svoltosi a ottobre, era accompagnato da un’asta il cui ricavato è stato devoluto alla Croce Rossa Italiana. L’ultimo tassello del progetto è costituito da Chiamiamo le cose con il loro nome, la rubrica di articoli e video della testata Robe da Donne, in cui si discute di salute femminile. Il pubblico competente in materia artistica e pubblicitaria si è espresso, quindi, in modo molto positivo in relazione allo spot, evidenziandone la qualità a livello di videomaking e di impatto sociale. 

Se consideriamo invece il grande pubblico, quello inesperto della materia ma fortemente interessato a recarsi al supermercato per acquistare i prodotti Nuvenia, la reazione è completamente diversa. Fatta eccezione per un gruppo contenuto di persone che si sono sentite rappresentate dallo spot, in generale il video non è piaciuto.
Le critiche rivoltegli sono state innumerevoli, tanto da spingere la trasmissione ad essere considerata una violazione del Codice per l’autoregolamentazione media e minori. La fonte di scandalo è la presenza copiosa di riferimenti alla forma della vulva, perché come scrive Il Fatto Quotidiano, «la vagina è una parte anatomica che si può desiderare, su cui si può ironizzare, che si può definire anche nel modo più spregiativo e volgare possibile oppure indicare con delicatezza alle bambine, ma che no, non si può vedere neanche quando è sotto mentite spoglie».
Lo spot è stato considerato dissacrante, volgare, esteticamente brutto e privo di messaggi educativi. A questa reazione ha risposto Nuvenia dicendo di voler rovesciare il canone estetico relativo alle parti intime che – quando rappresentate – appaiono molto simili tra loro, spesso depilate o ritoccate chirurgicamente. La polemica scoppiata a seguito del lancio dello spot è significativa e porta a chiedersi: Nuvenia ha osato troppo? Oppure questa terapia d’urto per il piccolo schermo le porterà benefici in futuro?

Un secondo brand che si distacca dalle tendenze generali in fatto di pubblicità di assorbenti è Lines. In questo caso gli spot del 2020 sono addirittura due. Un video realizzato per l’assorbente “Lines è” vede come protagonista Emma Marrone, che marcia insieme a un folto gruppo di donne sulle note del suo brano Amami. Un secondo contenuto, invece, è pensato per “Lines seta ultra”, in cui compare comunque un liquido violetto al posto del rosso sangue.
In entrambi i casi si lavora sugli stereotipi, che colpiscono chi si identifica nel genere femminile sia in campo lavorativo sia in relazione alla sfera emotiva. Il brand, con questo progetto commerciale, si impegna inoltre nel sostegno di WeWorld, una Onlus che difende i diritti di donne e bambine. 

Tale scelta comunicativa caratterizza Lines da qualche anno. Già nel 2018 aveva realizzato una campagna di sensibilizzazione a tema mestruazioni e sessualità dal titolo Domande scomode. Anche in quel caso l’obiettivo era infrangere gli stereotipi e le false credenze che riguardano la salute delle donne. I contenuti presentano però un carattere eteronormativo e la reiterazione dei miti della rottura dell’imene e della verginità, come sottolinea Virginia Cerrone, cofondatrice di Pureeros. Nonostante ciò l’opinione del vasto pubblico è stata positiva nei confronti di tutti gli spot del brand, che sono sicuramente meno irriverenti rispetto alla scelta di Nuvenia.  

In conclusione, visto l’orientamento dei brand verso l’impatto sociale e la sensibilizzazione, bisogna chiedersi se questa non sia solo una mossa di tipo economico. Elise Thiébaut in Questo è il mio sangue ha scritto: «i marchi hanno scelto di accodarsi alla battaglia per la parità sessuale vantando nelle loro pubblicità l’emancipazione delle donne e la lotta contro i pregiudizi sessisti». Questo, però, è solo pinkwashing, cioè l’uso di temi femministi per fini commerciali? 

Indubbiamente non si fa nulla senza sperare di ottenere qualcosa in cambio, anche solo in termini di immagine. L’introduzione di temi sociali nelle pubblicità e il loro accostamento a campagne di sensibilizzazione hanno inoltre degli effetti positivi anche sui guadagni dei brand. È importante osservare, però, anche l’altro lato della medaglia: gli spot pubblicitari e, in generale, la televisione hanno un ruolo importante nella costruzione della coscienza collettiva. Parlare quindi di normalizzazione del sangue mestruale e dell’abbattimento dei pregiudizi probabilmente comporta dei vantaggi economici per Nuvenia e Lines, ma implica anche dei benefici per l’intera società, che giorno dopo giorno si trova esposta a spot che ne modificano, seppur parzialmente, il modo di pensare le mestruazioni.