Certe cose non si chiedono?

Testo di Elisa Belotti, illustrazione di Adele Mori

“Forza, passami la palla!”. “Sì, hai centrato il canestro. Un punto per noi!”. “Attenta a non fartela prendere, lancia!”. Dal campo di basket del parco si sentivano già le urla dei suoi amici. Sofia non vedeva l’ora di arrivare e di scendere anche lei in campo. Il basket era il suo sport preferito, anzi il wheelchair basketball, anche detto pallacanestro in carrozzina. Oltre a giocare al parco, si allenava in palestra perché il suo sogno era partecipare alle Paralimpiadi quando sarebbe stata più grande. Scendere in pista con quelle carrozzine costruite appositamente per non perdere l’equilibrio, sfrecciare a tutta velocità e sfilare con la bandiera del suo Paese.

A proposito di carrozzina, Sofia non stava più nella pelle anche perché voleva mostrare alla squadra i suoi nuovi copriraggi. Li aveva aspettati tanto e li aveva scelti con cura: con dei disegni gialli e arancioni che, quando le ruote girano, hanno l’aspetto di un fiore, un sole oppure di un vortice colorato. Era la prima volta che li sfoggiava al parco e rendevano la sua carrozzina bellissima.

Era quasi arrivata, doveva solo attraversare la strada, mettere i freni mentre guardava a sinistra e a destra – il vialetto che porta al campo da basket è un po’ in pendenza – e via! Con l’ultima spinta oltrepassò il cancello del parco e salutò i suoi amici in lontananza.

Durante l’anno scolastico non sempre riuscivano a trovarsi tutti i giorni, perché tra i compiti e gli allenamenti in palestra erano tutti molto impegnati. In estate, però, ogni pomeriggio il campo risuonava dei loro palleggi e delle urla di incoraggiamento di chi li guardava. “Ehi, non avete iniziato senza di me, vero?” gridò Sofia avvicinandosi. “Ma ti pare? Ci stavamo solo riscaldando” le risponde Joshua, il suo migliore amico. “Sei pronta a mangiare la mia polvere?”. “Vedrai chi vince oggi!” lo sfidò Sofia. Loro erano sempre in competizione quando si trovavano sul campo di basket. Poi, una volta terminata la partita, celebravano la gioia per la vittoria (di solito lei) e la delusione per la sconfitta (di solito lui) davanti a una bella fetta di torta.

Mentre Sofia, Joshua e gli altri amici si dividevano nelle due squadre e si mettevano in postazione, attorno al campo da basket si formò un piccolo gruppo di persone intente a guardarli e, ogni tanto, a incoraggiarli con un applauso. Quel giorno arrivò al parco anche una bambina di un altro quartiere, che nessuno della squadra aveva mai visto. Dopo essersi avvicinata alla pista, il suo sguardo era rimasto catturato dai copriraggi di Sofia e la si sentì chiedere alla mamma che la accompagnava: “A che cosa servono? Come fa a giocare anche lei a basket?”.

Sofia e i suoi amici erano abituati a quel tipo di domande. Giocavano insieme al parco da quando andavano all’asilo e con il tempo si erano organizzati in modo da tirare tutti. Sapevano che Sofia era velocissima a spingere la carrozzina in avanti e che andare all’indietro era più complicato. Avevano notato che a volte per tirare arrivava tanto veloce da dover metter i freni, che dovevano lanciarle la palla in un certo modo perché lei potesse prenderla e che nessuno aveva una mira come la sua. Era un’avversaria temibile!

Ciò che né Sofia né Joshua né gli altri si aspettavano fu la reazione della mamma della bambina a bordo campo. Con un urlo acuto che attirò l’attenzione di tutti disse che “Certe cose non si chiedono!”. L’imbarazzo nell’aria era palpabile. Ci fu un momento di silenzio, poi Sofia si avvicinò alla giovane spettatrice – che le disse di chiamarsi Michaela – e la invitò in campo. Non aveva una grande dimestichezza con il basket, ma provò comunque a giocare con gli altri membri della squadra.

Le ci volle un po’ prima di abituarsi a quel tipo di basket, ma alla fine della partita (vinta ancora una volta dal gruppo di Sofia) Michaela aveva capito come funzionavano i freni, i copriraggi e anche che la palla doveva entrare nel canestro, non colpire il tabellone. Sua mamma a bordo campo aveva anche tifato per le giocatrici in campo e la tensione si sciolse.

“Grazie per avermi fatta giocare con voi!” disse Michaela elettrizzata. “È stato un piacere” rispose Sofia, “Ci vediamo anche domani?”. “Sì dai, devi tornare! La prossima volta sarò io a vincere!” aggiunse Joshua, che stava aspettando di consolarsi con una fetta di crostata.