La regina degli ittiosauri

Di Elena Esposto

Nel febbraio scorso il paesaggista Joe Davis, durante un giro di ricognizione nella riserva naturale del Rutland, nelle Midlands Orientali, ha scoperto il fossile di un ittiosauro vissuto 180 milioni di anni fa. Questo esemplare, della specie dei Temnodontosaurus Trigonodom, non ancora completamente liberato dalla sua prigione di roccia e fango, misura 10 metri ed è il più grande così ben conservato mai rinvenuto su suolo inglese.

Il progetto dello scavo che estrarrà il fossile è stato annunciato il 10 gennaio di quest’anno dal dottor Lomax, paleontologo esperto di Ittiosauri, e ci vorranno dai 18 ai 24 mesi per separare lo scheletro dalle rocce nelle quali è incastrato. L’inizio del recupero del reperto ha tardato quasi un anno per iniziare a causa delle particolari condizioni del luogo del ritrovamento che, essendo una riserva naturale, ha dei ritmi che vanno rispettati, come quello del drenaggio e del riempimento della laguna e l’arrivo e la partenza degli uccelli migratori.

La scoperta però è valsa l’attesa. Questo ritrovamento infatti ha aperto diverse piste di ricerca per lƏ scienziatƏ, che permetteranno di capire meglio come vivevano questi animali preistorici.

Gli ittiosauri erano enormi rettili marini, chiamati comunemente draghi marini per via dei loro occhi sporgenti, che si sono evoluti da altri rettili marini nell’epoca del Triassico, circa 240 milioni di anni fa e sono vissuti sulla terra fino a 95 milioni di anni fa, andando via via evolvendosi fino ad assomigliare sempre di più alle attuali balene e delfini e sviluppando le pinne per il nuoto.
Si nutrivano principalmente di piccoli pesci e calamari, ma alcuni di loro divennero superpredatori, cibandosi anche di altri carnivori. Gli ittiosauri sono passati attraverso diverse fasi evolutive in grande rapidità.

Nel Nevada è stato ritrovato un esemplare, anch’esso di circa dieci metri, della specie Cymbospondylus youngorum.
“Questa specie animale si è evoluta circa tre milioni di anni dopo i primi ittiosauri, che erano lunghi solo circa 1,8 metri. Il Cymbospondylus youngorum, invece, è tra i più grandi ittiosauri trovati, con un cranio che supera da solo gli 1,8 metri” scrive National Geographic.
A noi tre milioni di anni sembrano un tempo enorme, incalcolabile, ma dobbiamo pensare che i ritmi evolutivi son stati spesso molto più lenti di così.
Le balene, ad esempio, ci hanno messo 50 milioni di anni ad evolversi diventando gli animali che conosciamo oggi.

Per questo la velocità evolutiva degli ittiosauri stupisce, e si pensa che il motivo possa essere la relativa stabilità della catena alimentare preistorica, caratterizzata da una abbondante e costante disponibilità di cibo.

Con l’andare del tempo gli ittiosauri si sono suddivisi in diverse specie diverse, ma quelli che sono sopravvissuti alla grande estinzione erano di molto rimpiccioliti per poi tornare di nuovo a crescere di dimensioni nel Giurassico, come dimostra l’esemplare del Rutland.
Altri esemplari giurassici di enormi dimensioni vennero trovati sempre nel Regno Unito, nel Dorset, dove infatti si pensa che, grazie alle acque poco profonde, si trovasse lì concentrata una grande quantità di pesci di cui gli ittiosauri si nutrivano.

Il primo ittiosauro rinvenuto nel Regno Unito fu scoperto dalla paleontologa inglese Mary Anning nel 1811. Nata nel 1799, la Anning aveva solo 12 anni all’epoca della scoperta, che fu inizialmente attribuita ad altri studiosi, ma già da tempo era stata iniziata dal padre alla professione di raccoglitrice di fossili.

Gli Anning vivevano a Lyme Regis, un piccolo villaggio sulla costa occidentale del Dorset, meta di turismo balneare da parte delle famiglie benestanti e famoso per i suoi fossili.
Le sue infinite scogliere che si estendono fino a dove l’occhio può arrivare nascondono infatti venature di Blue Lias, una formazione geologica composta da strati sovrapposti di calcare e argillite, che imprigionano bestie enormi e sconosciute provenienti da altri mondi e da altre ere.

Mary Anning visse in un contesto particolarmente sfavorevole nell’Inghilterra dell’epoca: era povera, donna, proveniente da una delle zone più remote del paese, lontana dai centri sociali politici e culturali, fu dissidente e non si sposò mai. Crebbe a stretto contatto con il mare e con i suoi ritmi poiché suo padre, per arrotondare gli introiti del suo mestiere di falegname, si dedicava alla raccolta di fossili che poi vendeva ai turisti. Era frequente che nelle sue spedizioni permettesse ai figli di accompagnarlo, e così Mary e suo fratello Joseph impararono fin da piccoli ad avere dimestichezza con quelle che venivano chiamate “curiosità”.

All’epoca i fossili erano ancora sconosciuti ai più e attorno a queste strane pietre circolavano una serie di leggende che le volevano di volta in volta serpenti pietrificati, denti di coccodrillo, dita del diavolo, ali di angelo, fulmini divini o punte di freccia.
Questo rende ancora più straordinaria la capacità della Anning di comprendere le scoperte che avrebbe fatto, soprattutto se pensiamo che nello stesso ambiente scientifico c’era una certa resistenza verso i fossili.

Fino a quel momento erano stati considerati oggetti dai poteri magici e medicinali e nessuno aveva avuto da obiettare, ma guardarli sotto la cruda luce della scienza, e ammettere che fossero creature appartenenti ad altre epoche, metteva in crisi il sistema di credenze basate sulla Bibbia, ed era in aperto contrasto con il racconto della creazione del mondo che faceva la Genesi. Per la religiosità dell’epoca era intollerabile l’idea che nel piano perfetto di Dio ci fosse stato spazio per qualcosa destinato ad estinguersi.

Durante la sua vita Mary Anning ottenne pochissimo riconoscimento dalla comunità accademica dell’epoca, e le sue scoperte non le vennero mai ufficialmente attribuite.
Ancora oggi si parla troppo poco di lei e del contributo fondamentale che ha dato alla paleontologia moderna.
Non sappiamo quali altri risultati avrebbe ottenuto per la comunità scientifica se alle donne fosse stato concesso varcare la soglia della Società geologica. Quel che è certo è che se non fosse stato per lei oggi avremmo molti meno strumenti per capire gli ittiosauri.