La Turchia ha paura della libertà artistica delle donne

Di Elena Esposto

La campagna di odio e demonizzazione degli artisti e della musica secolare portata avanti dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e del suo partito, l’AKP (Partito della Giustizia e dello sviluppo), da gennaio scorso ha un nuovo obiettivo.

Questa volta gli attacchi hanno puntato in alto e il nuovo nemico pubblico numero uno è Sezen Aksu, stella del pop turco, cantante dalla carriera affermata e dal riconoscimento internazionale.
Aksu ha esordito sulle scene musicali verso la metà degli anni ’70 ed è considerata una delle fondatrici del pop turco. In più di quarant’anni di carriera è sempre rimasta in cima alle classifiche vendendo più di 40 milioni di album in tutto il mondo.
Simbolo della Turchia, in patria e all’estero, Aksu, con i suoi testi brillanti, è sempre stata un’artista politicamente impegnata e negli anni si è schierata a supporto di diverse cause per i diritti delle minoranze, per l’uguaglianza delle donne e delle persone LGBTQ+ e su temi ambientali.

Il motivo dell’attacco è una canzone del 2017,  Şahane Bir Şey Yaşamak (Vivere è una cosa bellissima) per la quale l’artista ha prodotto un nuovo video per Capodanno di quest’anno e dove, ad un certo punto del testo, vengono tirati in ballo Adamo ed Eva, chiamati “ignoranti” in riferimento alla cacciata dal paradiso terrestre.
I due progenitori sono figure sacre nell’Islam, antenati di tutta l’umanità e trattati con titoli onorifici. Adamo è considerato il primo profeta di Dio sulla Terra.

Questo particolare verso le ha attirato le ire di gruppi islamisti vicini al Governo, e lo stesso presidente Erdoğan, durante il consueto discorso del venerdì dopo la preghiera alla Grande Moschea Çamlıca ha detto che non è accettabile che due figure sacre così importanti vengano diffamate e che è un dovere strappare quelle lingue che osano farlo.

Subito molti artisti si sono schierati al fianco di Aksu, e perfino il sindaco di Instanbul ha preso le sue difese. Il 17 gennaio poi l’artista ha risposto con una nuova canzone dove afferma “non potete spezzarmi la lingua” e il testo ha fatto il giro del mondo, venendo tradotto in più di 50 lingue.
Alcuni hanno visto in questa immediata mobilitazione la causa dell’anomalo passo indietro del presidente, che ha tenuto a specificare che le sue parole non erano rivolte alla cantante. Sarebbe la prima volta che Erdoğan ritratta una sua dichiarazione di questo genere, ma forse non è il caso di essere troppo ottimisti.

Il 28 gennaio una circolare presidenziale metteva in guardia sui pericoli dell’era digitale e affermava la necessità di mettere in atto azioni decisive contro lo sconvolgimento della struttura nazionale e l’attacco ai valori morali e religiosi del paese.
In seguito alla circolare è stato cancellato un programma TV accusato di satanismo e il Consiglio Supremo della Radio e della Televisione Turca ha chiesto a TV e radio che operano sul territorio nazionale di non trasmettere la canzone incriminata.

Aksu non è la sola, né la prima, ad aver subito attacchi censori da parte del governo turco, o da gruppi vicini al potere.
In questi anni di governo l’AKP ha messo ben in chiaro quali sono le sue posizioni rispetto all’arte secolare e ha portato avanti parecchie azioni di censura artistica. Istituzioni culturali indipendenti sono state chiuse o smantellate, libri sono stati banditi e film censurati.
È rimasto celebre lo smantellamento del Centro Culturale Atatürk a Instanbul, costretto a chiudere i battenti e poi demolito nel 2012, a causa del taglio dei fondi per la manutenzione e la riparazione, nonostante fosse un simbolo storico. La stessa sorte è toccata al teatro Emek, demolito nel 2013 per fare spazio a un centro commerciale.
Dal 2016, l’anno del fallito colpo di stato, più di 300 mila libri sono stati rimossi dalle scuole e dalle biblioteche su ordine del ministro dell’educazione.

Secondo un rapporto di Freemuse nel 2020 la Turchia ha compiuto il 30% delle violazioni della libertà artistica, e il 90% di queste sono state causate direttamente dal Governo.
La pressione politica contro gli artisti cosiddetti dissidenti non è una minaccia solo limitata al mondo dell’arte ma ha impatti più ampi su tutta la società, distruggendo la diversità dei prodotti culturali, limitando la libertà di espressione e lo sviluppo del pensiero critico.

Dalle ultime notizie che abbiamo Sezen Aksu ha preferito non esporsi troppo nella questione, e al di fuori della canzone di risposta ha preferito restare in casa e non ribattere apertamente agli attacchi del presidente e del suo entourage, forse anche frenata dal fatto che solo qualche giorno prima la giornalista Sedef Kabaş era stata arrestata per aver insultato Erdoğan. L’ “insulto al Presidente della Repubblica” è infatti considerato un reato in Turchia, e negli otto anni di presidenza di Erdoğan ha dato il via a circa 68.000 indagini contro oppositori e detrattori del regime.
Rimane però il fatto che alcuni sostenitori del governo hanno esposto una denuncia formale contro la cantante che rischia il processo e l’arresto. L’articolo 216/3 del codice penale infatti stabilisce come reato penale il “pubblico degrado dei valori morali e religiosi”.

La stessa settimana degli attacchi ad Aksu un’altra donna, la cantante Gülşen, è stata presa di mira dai conservatori a causa della presunta troppa trasparenza del suo vestito durante uno spettacolo.

Gülşen ha scritto sui suoi social un messaggio diventato subito virale: “Prima di essere la figlia di un padre, la moglie di un uomo e la madre di un bambino io sono una persona con una mente, la capacità di pensare e di scegliere. Non sono schiava di nessuna definizione. Non appartengo a nessuno. Io sono me stessa. Appartengo a me stessa”.

Secondo il giornalista Murat Yetkin questi attacchi non si limitano alla repressione della libertà artistica, ma fanno parte di tentativi sempre più frequenti da parte del Governo di limitare la libertà di espressione delle donne.
Sul suo blog scrive: “Erdoğan ha da tempo fornito esempi concreti di una cultura patriarcale e maschilista dove nessuna voce può alzarsi sopra quella del patriarca, e nessuno può criticarlo. Lui crede che essere rispettato significhi non essere contraddetto, e non riuscendo a guadagnare rispetto ha creduto di poterlo ottenere con la paura”.