Social network: le Identità 2.0

Di Esther Forlenza

Secondo il sociologo Max Weber, le relazioni sociali sono interazioni tra due o più soggetti, che avvengono secondo schemi relativamente stabili, interazioni che creano tra gli individui un legame per il quale il modo di comportarsi dei singoli cambia in base all’Altro. 

Alla luce di ciò, donne e uomini, in quanto animali sociali, hanno costantemente bisogno di costruire delle relazioni e, con l’avvento dei social network, la velocità nonché la facilità con la quale si interagisce è aumentata in modo esponenziale. A sostegno di tale assunto alcune statistiche hanno riportato che nel 2018 il 57% della popolazione italiana su 59,55 milioni di abitanti è attivamente presente sui social.

I social network (Facebook, Twitter, Telegram, Youtube etc) hanno reso possibile la diversificazione della comunicazione grazie al superamento delle barriere spazio-temporali, hanno facilitato i processi di interconnessione tra gli attori sociali, hanno favorito l’interculturalità e hanno fornito l’opportunità ad ogni nuovo utente di ri-crearsi mediante un’identità virtuale.   La “Teoria Dei Bisogni Psicologici” sviluppata dallo psicologo statunitense A. Maslow parte dall’assunto che esista una gerarchia di cinque bisogni definiti come: Fisiologia, Sicurezza, Appartenenza, Stima e Autorealizzazione. All’apice della piramide dei bisogni vi è la necessità dell’individuo di realizzarsi, di essere riconosciuto e apprezzato; ma se per Maslow i bisogni fondamentali come quelli fisiologici una volta soddisfatti tendono a non ripresentarsi, i bisogni relazionali sono invece onnipresenti e, se non appagati, creano un senso di insoddisfazione latente. Ora, seppur non suffragata da prove, sembrerebbe che i social network siano in grado di sopperire in qualche misura ai deficit creati dalla difficoltà di relazionarsi nel mondo reale grazie ad una pilotata condivisione e auto-divulgazione di sé stessi nella realtà virtuale.  

Quali effetti?

Il mondo mass mediatico ha influenzato vari aspetti del comportamento degli individui tra cui le opinioni, gli atteggiamenti, così come anche i comportamenti di acquisto e di post-acquisto dei consumatori.

Già nel 1983, il professor L. Berry nel suo studio “Relationships Marketing” ha definito le strategie comunicative economiche come “marketing relazionale” ossia la capacità di attrarre, mantenere e migliorare le relazioni con i clienti attraverso elementi strategici che consistono nello sviluppare un servizio per costruire una relazione con il cliente, personalizzare la relazione con il singolo e ampliare il servizio per incoraggiare la fedeltà dei clienti. Se si analizzassero i comportamenti posti in essere dagli utenti sui social si potrebbero notare delle somiglianze con le strategie di marketing evidenziate da L. Berry, seppur il fine sia chiaramente dissimile. Sembra che l’utente, scegliendo di condividere specifici post e/o immagini, dia il via ad una comunicazione unidirezionale con lo scopo di raccogliere consensi dai primi followers. Sulla base dei consensi ricevuti l’utente incrementa la frequenza delle condivisioni e, una volta ampliata la propria cerchia di amici virtuali, rafforza le connessioni con i fans più attivi, incoraggia e stimola le interazioni fino a creare un sottogruppo all’interno della rete, grazie al quale verrà a costituirsi una nuova identità collettiva virtuale.

Quali rischi?

Da questo processo tecnologico il rischio più frequente è quello di ri-costruire la propria identità solo sulla base degli elementi che sono stati selezionati appositamente per la propria “vetrina”. Tuttavia, se ciò che conta è l’aspetto, oggi più di ieri è proprio l’immagine a muovere le masse e a generare processi di attrazione sociale spersonalizzata e “Uno, nessuno, centomila” di L. Pirandello troverebbe piena contestualizzazione nella definizione delle nuove Identità 2.0.

Nella dimensione digitale del “tutto è possibile” i social network sono fortemente selettivi, ciascun utente comunica solo con chi sceglie e le Identità 2.0, prive di difetti, prevedono unicamente una sfrenata esaltazione dell’Io. Dunque, appare chiaro che se da un lato lo sviluppo tecnologico ha reso possibile la disintegrazione di stereotipi e categorizzazioni tradizionali, dall’altro ha generato un processo involutivo senza precedenti, dato dal graduale peggioramento della qualità delle interazioni sociali reali e spiccato aumento delle nuove identità ibride.