Dhobi Ghat (Mumbai Diaries). Quando Bollywood non è solo canti e balli

Di Ilaria Cappelletti

Grazie al mio lavoro entro in contatto ogni giorno con ragazzini del subcontinente indiano, in particolare pakistani e bengalesi. E quando siamo insieme in classe a chiacchierare il tema che accende le passioni di tutti allo stesso modo è uno: Bollywood.

Ebbene sì, quando si parla dei film di Bollywood gli occhi dei miei alunni e delle mie alunne si illuminano e le loro labbra iniziano a muoversi per raccontare tutto quello di cui non riescono a parlare con gli italiani: il loro film preferito, il vestito indossato da Katrina Kaif, le ultime avventure di Shah Rukh Khan…

Incuriosita da un universo che aveva il potere di creare un dialogo tra culture spesso in conflitto e di risvegliare i sogni dei miei ragazzi, mi sono avvicinata alla produzione cinematografica bollywoodiana per scoprire, con mia grande sorpresa e immenso piacere, film originali e incredibilmente interessanti. Una vera boccata d’aria per chi come me non sempre si entusiasma di fronte ai prodotti di Hollywood.

 Molti occidentali considerano i film in Hindi un’accozzaglia superficiale di canzonette e balletti, invece il cinema indiano non si riduce a questo. È vero: musica e ballo sono componenti fondamentali di molte produzioni ma non tutti i registi di Bollywood ricorrono a questi mezzi per raccontare le proprie storie. A mio parere un esempio magistrale della cinematografia indiana non tradizionale è Dhobi Ghat (Mumbai Diaries) della regista Kiran Rao.

Il Dhobi ghat è la grande lavanderia a cielo aperto di Mumbai, risalente all’epoca coloniale. Qui ancora oggi i dhobi, lavandai, lavano a mano i panni dell’intera città per poi riconsegnarli porta a porta. E qui lavora Munna, uno dei protagonisti. Munna consegna i vestiti a domicilio sia a Shay, una bancaria americana che trascorre un anno sabbatico a Mumbai, sia ad Arun, un pittore in cerca di ispirazione che si è appena trasferito nella parte vecchia della città.
La trama del film si sviluppa proprio a partire dalle relazioni che si creano tra Munna e i suoi due clienti. Il quarto personaggio attorno al quale ruota la vicenda è Yasmin, che abitava nell’appartamento affittato da Arun prima che lui arrivasse. Arun trova delle videocassette in cui Yasmin raccontava al fratello la sua nuova vita da donna sposata a Mumbai. Le vicende di questi quattro personaggi provenienti da ambienti sociali diversi si intrecciano offrendo un delicato ritratto di Mumbai, vera protagonista del film. La capacità di Rao di presentare allo spettatore questa grande metropoli con la sua gente, le sue glorie e le sue miserie è amplificata dall’uso dei diversi strumenti corrispondenti al punto di vista dei personaggi: la videocamera di Yasmin che racconta al fratello le proprie vicende, i colori sulla tela di Arun, le fotografie in bianco e nero di Shay. Gli elementi visivi del racconto si fondono armonicamente grazie alla colonna sonora di sola musica di Gustavo Santaolalla e di Ryuichi Sakamoto.

Alcuni hanno criticato il finale aperto, la storia d’amore che non ha una vera e propria conclusione, le vicende dei protagonisti che non hanno un vero e proprio sviluppo. Queste critiche non tengono conto del fatto che la vera storia è quella di Mumbai, non dei personaggi. Questi sono solo un pretesto per raccontare la complessità di una città che si espande, cresce e respira come un essere vivente districandosi in una giungla paradossale di sogni e illusioni, opportunità e delusioni, modernità e tradizione, povertà e ricchezza.

Mumbai si nutre dei sogni delle persone come Munna, che desidera il riscatto sociale offerto dallo sfavillante mondo del cinema, o come Yasmin, che sogna una vita famigliare che renda felice i suoi genitori tanto tradizionalisti ma anche sé stessa. Mumbai si nutre del sogno d’amore di Shay e della ricerca indefinita di Arun. Le fatiche e le lotte di tutti i personaggi trasformano la città, che a volte è un luogo crudele e inospitale e a volte un posto magico dove tutto è possibile.

Rao non ha la pretesa di narrare una storia finita e compiuta; ci presenta con un linguaggio poetico e uno sguardo realistico dei pezzi di vita sullo sfondo di una città mutevole e tormentata, dove le dinamiche sociali possono ancora essere barriere insuperabili. E infatti tramite intelligenti richiami intratestuali il film affronta una grande varietà di temi come il matrimonio combinato, l’amore, il riscatto sociale, l’impossibilità di scelta delle classi più povere, l’arte e l’amicizia.

Sicuramente con questo film Rao si allontana dai capolavori del cinema Bollywoodiano tradizionale, esplorando modalità diverse per veicolare la propria prospettiva, ma proprio per questo motivo Dobhi Ghat (Mumbai Diaries) potrebbe essere il film perfetto per accostarsi al cinema Hindi per la prima volta e in un secondo momento riuscire ad apprezzare anche il cinema più tradizionale.