La scrittura è femmina. Aristotele e il mio femminismo interiore

Di Caterina Frusteri Chiacchiera

Dunque, eravamo arrivati a scoprire l’acqua calda: uomo e donna sono differenti.
Uomo, nobile, lineare, razionale; donna, schiava del proprio corpo, condizionata dai propri bisogni carnali, condannata a dipendere dal ciclo ormonale, dalla propria perenne instabilità.

Pare che il primo ad indagare in maniera accurata la differenza tra uomini e donne sia stato, (oltre che qualche anonimo marito, dimenticato dal corso della storia con la S maiuscola, che si sa, è fatta solo di re e regine), niente popò di meno che Aristotele.
Filosofo sopraffino, se è riuscito a costruire un sistema di pensiero così efficace da rimanere sotterraneo fino ai nostri giorni, senza aver avuto neppure esperienza diretta del suo oggetto di studio; infatti, non è data conoscenza di nessuna Signora Aristotele, mi pare (o è stata ingoiata anche lei dalle pagine della storia?).
Dunque, cosa ebbe a dire Aristotele sulle donne?

Ecco, che il ciclo mestruale e tutto il sistema ormonale di cui siamo dotate fanno sì che subiamo stravolgimenti tanto potenti da non poterci considerare nemmeno umane.
All’uomo, stabile, concreto, speculativo, fu offerto in dono dagli dei l’intelletto; a lui spettavano i nobili incarichi di gestione della politica, della filosofia e della cultura.
Invece, la donna, vile essere inferiore, doveva considerarsi già onorata se le si concedeva di occuparsi delle capre e delle galline, da cui, per altro, non differiva poi tanto.

Non voglio sembrare riduzionista o semplicistica: Aristotele, a validità delle sue affermazioni, produceva diverse prove ed evidenze, che qua io non citerò.
Ma ovvio! Su questo assunto ci ha costruito un’intera cosmogonia, non è che l’ha espresso così, in due frasi!

Per inciso, il mio vuole essere solo un libero riferimento, uno spunto da cui partire, senza pretesa di sistematicità, né di scientificità.
Già lo sento nella testa il giudizio della mia professoressa dell’università: <<Frusteri, il suo lavoro non presenta gli opportuni riferimenti alle fonti di cui intende trattare; inaccettabile da un punto di vista accademico-scientifico>>.
Ad ogni modo, è chiaro a tutti, che a me del mondo accademico-scientifico, in questo momento, non me ne importa niente.

Io, adesso come adesso, voglio solo sentirmi libera di usare la scrittura come espressività, come manifestazione della mia femminilità, riconoscendo dignità a questa forma in un modo non esclusivamente relegabile alle pagine di un diario.
Difatti, sono intimamente convinta che a causa dei giudizi sociali, le pagine più belle della nostra letteratura siano rimaste chiuse nei diari personali, nascoste nei cassetti più reconditi, negli antri più oscuri degli armadi, nelle cantine e nei solai più polverosi, soffocate dalla censura e dei condizionamenti.
Ma questa è un’altra storia…

Rispetto ad Aristotele, personalmente, ritengo che la sua opinione sulla donna abbia strisciato, più o meno velatamente, attraverso i millenni: è stata accolta, ostentata, sottaciuta, rifiutata, osteggiata, sussurrata ecc.
Possiamo osservare come sulla linea del tempo, dall’antichità fino ad oggi, si siano susseguite numerosissime dottrine e scuole di pensiero condizionate, nel bene o nel male, dall’ impianto aristotelico: da antiche teorie misteriche, a sistemi religiosi più o meno universalistici, fino ai contemporanei movimenti hippy, neopagani, New Age ecc.

Sono infatti evidenti i nessi tra un certo modo di interpretare la donna e i principi formulati dal padre della filosofia. Già perché la donna, deve essere interpretata, giusto?

Mi rivolgo ai più scettici: è vero, ho parlato di idee hippy ecc., definite da tanti delle fricchettonate, ma certe opinioni non le ritroviamo esclusivamente nella New Age, o in concezioni simil-esotiche o esotiche, ma anche in alcuni ambiti che fanno parte di quella che noi occidentali consideriamo “scienza”, come determinati filoni dell’indagine psicanalitica, sociologica, antropologica ecc.
Oh, ma certo, per i più scettici, anche questi campi del sapere sono fricchettonate.

Suppongo che, dal momento in cui Aristotele formulò la sua concezione sui rapporti di genere, anzi, da ben prima, sia stata sempre presente nella mente di chiunque, uomini o donne che fossero, dal Canada allo Stretto dei Dardanelli; e dato che gli arabi tradussero i filosofi greci e li conobbero ben prima di noi, ho il dubbio che si sia diffusa anche in altri angoli della terra, ma non ho ancora validi elementi per affermalo con sicurezza. Cioè, che le donne in certi contesti non siano considerate in modo positivo, è noto a tutti. Mi sfugge, però, quale sia l’impianto ideologico su cui poggia tale visione in altri sistemi culturali. Indagherò.

Spero proprio di non cadere negli stereotipi e nei clichè (dai quali purtroppo, in quanto membro di questa società credo di risultare totalmente condizionata), ma devo ammettere che Aristotele ha parlato un po’ anche di me… E sono proprio queste parole che accendono le ire delle mie amiche femministe.

Certo, non mi ritengo una bestia. E chiaramente non mi reputo meno degna di un uomo di potermi occupare di auliche attività (nonostante qualcuno, leggendo questi miei scritti, possa pensare esattamente il contrario).
Ma anche io sostengo che la mia mutevolezza, che mi rende così poco categorizzabile, così poco definibile da etichette (nonostante il mio essere capricorno), sia dovuta alla mia natura femminea. E senza vergogna oso aggiungere (col rischio di venire a mia volta tacciata di freekkettoneria) che la mia amata incoerenza sia dovuta proprio al ciclo.

Anche questa sembra una scoperta dell’acqua calda. Ma la sostanziale inconciliabilità tra me, (certi datori di lavoro) e il grande filosofo sta però nel fatto che, mentre egli giustificava a causa del ciclo della donna, negativo e impuro, la diseguaglianza tra uomini e donne, io vedo nei sconvolgimenti che il ciclo mi provoca la mia più grande forma di integrità. (Ciclo inteso in senso lato, ovviamente; ci siamo capiti, no?)

Il ciclo mi rende integra, sì, ma anche totalmente incompiuta, sempre manchevole e per questo irriducibile, inafferrabile… ; ciò e altro mi conduce a essere la mia natura, la mia natura di donna.
Ovviamente, solo per oggi.
Fino alla prossima ovulazione o fino alla prossima mestruazione, o fino alla menopausa, in cui potrò divenire completamente diversa, e completamente diverso potrà presentarsi il modo di vedere il mondo.

E torniamo al punto di partenza: scrittura e femminilità; anzi, alla mia altezzosa pretesa: che la scrittura è femmina.
Io ho affermato nel mio precedente scritto, e continuo ad affermarlo a gran voce, che sia proprio questa dissonanza interiore connessa, come affermava Aristotele, al mio corpo di donna, ad avermi regalato la possibilità di scrivere.

Non voglio, però, dare l’impressione di presumere di fare alta letteratura, questo no. Scrivo da quando ho imparato a scrivere; fin da bambina tenevo dei quaderni su cui raccoglievo pensieri e riflessioni. La realtà mi è sempre apparsa tanto complicata, veloce, confusa: mi sembrava di non riuscire mai a districarmici; avevo bisogno di qualche espediente per fermare le immagini, per renderle più intellegibili. E ho iniziato a usare la scrittura, non so nemmeno io come.

Scrivere, per me, ha in qualche modo coinciso con il vivere; le mie esperienze sono state interiorizzate, decodificate, solo dopo essere state riviste attraverso la scrittura. La scrittura è stata, ed è, come in una sorta di lente d’ingrandimento attraverso cui ho cercato di comprendere per prima cosa me stessa, e poi il mondo intorno a me.
Paradossalmente, posso quasi dire di aver vissuto solo ciò che ho filtrato attraverso la carta, e di recente, i file (anche se sono una gran nostalgica e non posso non ammettere che tramite tecnologia è andato perso gran parte del fascino).
Credo che quello di cui non ho scritto, semplicemente sia andato dimenticato, cancellato: non è mai esistito.

La vendetta peggiore verso situazioni o persone spiacevoli? La maledizione lanciata verso i miei ex? Strappare dai miei quaderni le pagine che parlavano di loro, come in passato venivano rimossi dai monumenti i nomi dei re destinati all’oblio. Ma anche questa è un’altra storia.

Tuttavia scrivere è stato soprattutto una discesa dentro di me.
Aspetto della realtà che mi risulta infatti più fuggevole, più inafferrabile? Me stessa. Me stessa, in perenne mutazione: in certi giorni lucida, precisa, sistematica, razionale; in altri inconcludente e distruttiva; o ancora accogliente ed empatica; oppure solitaria e taciturna, a seconda della luna.

Scrivendo ho tentato di indagare la mia natura, la mia natura di donna, che mi ha portato, aimè, tanta instabilità e tanti enigmi, ma contemporaneamente, tanta vitalità. Essere donna è come stare perennemente su una ruota panoramica: il ciclo, gli ormoni, il corpo che cambia, il tempo che passa. E io dietro a scrivere, cercando di venire a capo di me stessa. È per questo che sostengo che scrivere coincide con l’essere donna.

Al termine di questo scritto, lasciatemi aggiungere delle doverose precisazioni: ci tengo ad esplicitare di non aver inteso mancare di rispetto a nessuno in nessun modo, né ad Aristotele, né al sistema accademico-scientifico, né alla mia reverendissima professoressa, tanto meno ad eventuali datori di lavoro (credetemi, sono persona affidabilissima, lo dimostra il fatto di essere un segno di terra).
Non era mia intenzione svilire la filosofia e neppure le religioni, e va da sé, che non è nemmeno mio intento denigrare la New Age, che ritengo, invero, un sistema complesso con alti gradi di validità nella lettura del reale, né criticare altri orizzonti interpretativi, di qualsiasi tipo essi siano.
E siccome alcune mie amiche hanno abbracciato certe pratiche sciamaniche, chiedo loro perdono se si sentissero irrispettosamente tirate in causa.

Infatti, se anni e anni di approfondimenti di Antropologia Culturale mi hanno lasciato qualcosa (e mi hanno lasciato molto, in verità, nonostante sia un titolo di studio tanto poco riconosciuto, anzi, per niente) è proprio l’apertura mentale e l’accettazione di ogni ordine simbolico. Ma una qualche licenza poetica potrò pur concedermela, d’altra parte!

Ho tentato di spiegare perché trovo che la scrittura sia femmina. Ciò vale assolutamente solo per me, beninteso, per le mie poesie, storie, lettere, i miei diari, i miei racconti… Però, se il mio modo di scrivere dovesse non piacere, se non fosse fluido, coerente, sintatticamente corretto, dotato di quel bell’ordine espositivo che mi farebbe sperare nel riconoscimento del mondo scientifico-accademico, chiedo venia: be’, ecco, purtroppo è perché sono solo una donna, e secondo l’impianto aristotelico, non posso fare diversamente. (Sospetto, tra l’altro, che anche la mia professoressa pensi la stessa cosa… )

In conclusione, mi sento di aggiungere: non è proprio frutto del condizionamento maschilista che una donna debba fare una sì tanto verbosa premessa a giustificazione del suo scrivere? Aristotele, abbiamo molti conti in sospeso.


Aristotele e il mio femminismo interiore
 
Voglio fare tanto l’artista
dai pensieri elevati e sublimi
ma poi
la mia mente
è impegnata per lo più
a cercare di nascondere
la cellulite
e le rughe.
 
Forse a una donna
non sarà mai
dato di essere artista,
ha troppo a che fare
con il suo corpo,
sosteneva Aristotele.
 
Aristotele mio,
sai cosa ti dico?
forse,
per una donna,
e soprattutto per una donna come me
che ha da farsi
tante ammende,
essere un’artista
vuol dire proprio
sentire
che l’arte nasce
dal corpo …
 
Questo corpo
volubile e incontrollabile
di femmina,
sconosciuto e
oscuro.
 
Aristotele mio,
ci credo che ti faceva paura,
non sai quanta paura
facciano a me
la cellulite,
le rughe,
gli sbalzi d’umore…
 
Ma mi fanno più paura
gli uomini
che come te
condannano il mio corpo di donna
a vivere solo d’aria.
 
La mia femminilità è la condanna creativa:
la condanna del continuo cambiamento-
mostruoso-
lo so,
ma così reale.
 
Ed è per questo
che in barba ad Aristotele 
e alla metafisica,
per oggi,
faccio dei miei chili di troppo
e della mia prova costume
la mia personale
forma di poesia