Storia ai tempi della pandemia: un bambino, le maestre, i delfini

Di Carla Pinna

Scrivere in questo momento è come aprire la finestra della realtà, guardare il paesaggio, cercare i particolari, consapevole che l’atto della scrittura ci costringe a non rimanere affacciati. E a dare voce a sentimenti e sensazioni, a ciò che altrimenti voce ne avrebbe poca.

Propongo come articolo per il Blog “Le donne della porta accanto” un racconto della vita delle insegnanti al tempo della lontananza e della virtualità.

Raccolgo testimonianze, storie telefoniche, aneddoti che le tante amiche insegnanti (io stessa ho studiato per insegnare ma non l’ho mai fatto) mi raccontano durante lunghe telefonate.

Sfoglio il giornale di oggi, e leggo una notizia che fa assumere alle parole, al paesaggio della finestra spalancata un senso diverso, o un senso vero.

In un paesino della provincia di Bergamo, nella cui deliziosa Biblioteca ho tenuto alcuni laboratori di libroterapia, ecco, in un paesino abbastanza verde e – benestante? – ieri un bambino di 10 anni muore schiacciato dal cassonetto della Caritas all’interno del quale si era arrampicato per recuperare vestiti e forse scarpe, visto che in molti lo vedevano camminare scalzo.

Un bambino, un cassonetto della Caritas, un paesino di una provincia di una regione, quella regione, la più ricca d’Italia.

Un bambino di 10 anni, che va in giro solo, un cassonetto della Caritas deputato attraverso la raccolta ad aiutare chi ha bisogno anche solo dei vestiti, un paese dove regna un certo benessere.

C’è in questa morte terribile tutto il senso del dramma di questa esistenza contemporanea.

La pandemia ha rubato ai bambini la possibilità di affacciarsi alla vita sicuri, con la certezza di essere accolti e di avere un luogo per loro. Ma ha anche aggravato, approfondito, scavato solchi difficili da riempire. Le lontananze sono diventate più lontananze, la solitudine più solitudine, la povertà e le difficoltà economiche si stanno allargando a macchia d’olio.

E così un bambino che cerca vestiti, un bambino lasciato solo dai problemi di una famiglia “bordeline”, soccorso dai vicini, muore schiacciato da un cassonetto.

Le amiche maestre spesso mi hanno ripetuto che il problema non è la didattica, le interrogazioni, gli esami, ma l’ansia di non perdere nessuno dei bambini, di raggiungere tutti, di permettergli di rimanere vicini ed in contatto, anche recuperando computer, tablet, cellulari e quant’altro. Non bisogna perdere nessuno. Essere vicini, i bambini devono essere consapevoli che i loro compagni, le loro maestre ci sono, anche se non fra le mura della scuola.

Il bambino si chiamava Karim Abdou Bamba. Sono sicura che avrà avuto maestre e compagni che gli volevano bene, a cui mancava e di cui sentiva la mancanza. E che magari non volevano lasciarlo solo.

E invece lui se ne è andato da solo, magari pensando di farcela a recuperare un “bottino” prezioso. Me lo immagino che si arrampica, intento a capire come far funzionare la leva, pregustando la soddisfazione di avercela fatta.

Me lo immagino arrampicarsi sugli alberi, vorrei poter indovinare i suoi pensieri, la sua voglia di crescere, i suoi sogni. Così come altre volte mi sono chiesta se i bambini morti nel Mar Mediterraneo ora nuoteranno con i delfini, finalmente felici.