Fatti più in là. Lo scenario culturale, i premi letterari e le donne

Di Elena Esposto

“Adesso con Corrado Augias proveremo a ragionare su un altro dei capitoli importanti […] e cioè che cosa è cambiato con il me too[…]”

Così, ormai è noto, si è chiusa l’intervista a Valeria Parrella durante la premiazione dello Strega. Lei, con un’espressione a dir poco stupita e con un gran sorriso ha ribattuto con : “E lei ne vuole parlare con Augias? Auguri!”. Anche questa ormai è storia.

Se ci fosse stato il pubblico, quello sarebbe stato il momento perfetto per una standing ovation, o per lo meno per un istante di riflessione sull’assurdità di liquidare una donna per parlare di un argomento che la riguarda direttamente.

Zanchini è sembrato rendersi conto della gaffe, seppure fuori tempo massimo (probabilmente prima che gli fosse fatto notare neanche lui aveva notato l’assurdità di quella scaletta), e con un sorrisetto pieno di imbarazzo ha concluso: “Prometto che ne riparleremo anche con lei.”

Augias invece si è mostrato meno scosso sostenendo che Valeria Parrella “Ha ragione, ma fino a un certo punto. Che diritto hanno due persone che si occupano di libri di parlare dei minatori del Sulcis, che vuol dire? Ci sono dei problemi grandi, sociali, che investono l’intera collettività. E l’intera collettività ha diritto e competenza per parlarne”. Per dovere di cronaca questo dovrebbe includere le donne, che di quell’ intera collettività rappresentano il 50%.

Il giorno dopo sui social infuria la polemica per quello che a molte e molti è parso un evidente episodio di mansplaining, l’atteggiamento paternalistico per cui gli uomini si arrogano il  diritto di spiegare a una donna una cosa che pertiene al suo campo di esperienza di fatto misconoscendo ogni possibile autorevolezza alle voci femminili, proprio in quanto femminili. 

Molte donne sono state bersagli  del mansplaining: in famiglia, tra amici, al bar, a scuola e spesso anche sul luogo di lavoro.

E allora perché tanto rumore attorno a Valeria Parrella?

Non tanto per la sua risposta anche troppo posata. Anzi, sarebbe stato bello vedere una scenata con i fiocchi anche col rischio di passare per “isterica”, che tanto si sa che le donne vengono difficilmente prese sul serio nella loro rabbia.

Fin dai tempi di Freud alle donne è stata attribuita un’indole più remissiva di quella dei maschi, tanto che qualsiasi esternazione di sentimenti violenti, anche quando perfettamente legittimi, veniva ridotta a qualche disturbo fisiologico o mentale. Per non parlare dell’educazione che riceviamo da piccole, a starcene buone e tranquille, anche quando avremmo tutto il diritto di arrabbiarci.

Ma tornando al polverone sollevato alla premiazione dello strega, quello che rende l’episodio particolarmente grave è che il Ninfeo di Villa Giulia è il luogo in cui si decreta il vincitore di uno dei più prestigiosi premi letterari del Paese.

Insomma, è uno degli ambienti dove si crea cultura. E allora non dovrebbe essere un luogo privilegiato nel quale si scardinano i meccanismi sociali fallaci e discriminatori invece che perpetrali?

L’amara verità è che quello che abbiamo visto alla premiazione dello Strega riflette alla perfezione la situazione dell’ambiente culturale italiano rispetto alle donne.

Partiamo proprio dallo Strega. Le sue settantaquattro edizioni contano solo 11 donne vincitrici (la prima fu Elsa Morante nel 1957) e dal 2003 al 2018 c’è una totale assenza femminile tra i vincitori. Questo nonostante le donne siano spesso presenti tra i semifinalisti e anche nelle cinquine finali (in genere la quota femminile si attesta sul 40%). Sembra che ci sia un vero e proprio soffitto di cristallo che impedisce alle donne di vincere. E non solo il Premio Strega.

Anche il premio Nobel per la letteratura conta solo 14 vincitrici su 111, il Pulitzer 18 su 62 e la lista potrebbe continuare.

In un articolo uscito su Il Libraio Luigi Spagnol faceva un’interessante osservazione. Nella classifica dei dieci libri più venduti in Italia sei sono scritti da donne, e in generale 22 libri su 40 sono a firma femminile.

Quindi le donne scrivono, pubblicano e vendono di più degli uomini, però non vincono premi. Da qui si dovrebbe dedurre che le donne scrivono abbastanza bene da soddisfare il mercato del lettore medio ma le loro opere non sono abbastanza di qualità  da ricevere riconoscimenti ufficiali.

O forse no? Forse invece viviamo in una società che ha talmente interiorizzato le dinamiche maschiliste e patriarcali da non renderci neanche più conto delle barriere invisibili, ma imponenti contro cui le donne vanno a sbattere ogni giorno. Come al solito ci troviamo a lottare con un nemico sottile e infido.

Quello che ha fatto trovare normale che due uomini discutessero di me too quando c’erano centinaia di donne più preparate e con più voce in capitolo per farlo. E il problema non si limita alla sfera delle autrici.

Anche nell’editoria le donne sono poche o relegate a ruoli di “cura” come editor, traduttrici, redattrici, lettrici. Solo il 22,3% occupa ruoli dirigenziali, così come sono pochissime le donne con ruoli apicali nell’Associazione Italiana Editori, a fronte però del 71,8% di libraie donne.

Esiste una costante sottorappresentazione delle donne nella cultura e nei media la cui presenza, secondo Michela Murgia, si attesta intorno al 10%. Le autrici italiane donne appaiono in veste di moderatrici o di intervistatrici ma raramente sono le ospiti principali. A meno che non si parli di violenza di genere, di maternità o di femminismo, ma neanche in quel caso abbiamo lo scranno assicurato. Parrella docet.

Eppure questo non sembra più di tanto interessare il pubblico medio.

Sempre citando Murgia: “che a parlare di tutto per tutti siano sempre gli uomini è normale e nessuno lo trova strano”.

Bene, partiamo da questo. Partiamo dal fatto che dobbiamo trovarlo strano, anzi dobbiamo trovarlo sbagliato. Non possiamo più lasciar passare in sordina episodi come quelli dello scorso 2 luglio, non possiamo più far finta che i premi letterari e gli altri riconoscimenti siano appannaggio dei soli uomini, dobbiamo parlarne, farlo notare, indignarci se serve affinché il privilegio maschile di “parlare di tutto per tutti” cessi.

E nel frattempo continueremo a sognare che la prossima volta Valeria Parrella, o qualsiasi altra donna, possa andarsene sbattendo la porta e che, ovviamente, possa vincere lo Strega senza barriere invisibili o soffitti di cristallo a bloccarla. Proprio come i suoi colleghi maschi.