Donne e banca digitale, una nuova sfida per il mercato bancario

L’intervista di Elena Esposto

Il mondo bancario e finanziario tradizionalmente non appare un mondo femminile. In Italia, ad esempio, solo il 37% delle donne possiede un conto corrente, percentuale che raggiunge il lo 0% per le donne con sola licenza media.

Se poi aggiungiamo il fattore “digitale” la situazione è ancora più critica, basti pensare che il nostro Paese si colloca al venticinquesimo posto in Europa per conoscenze informatiche e digitali delle donne.

Eppure la rivoluzione digitale rende la banca più accessibile e democratica. Quali sono dunque le sfide che le banche digitali si trovano ad affrontare per aumentare l’inclusione dei settori sociali più lontani dall’aspetto finanziario come quello delle donne?

Ne abbiamo parlato con Claudia Vassena, Head of buddybank, la nuova banca digitale del gruppo Unicredit.

Buongiorno Claudia e grazie per la disponibilità a questa intervista. Parliamo di banca e di donne: la banca, soprattutto quella tradizionale, è sempre stata considerata un ambiente maschile. Anche se ormai il numero di dipendenti donne ha quasi raggiunto quello degli uomini le donne in posizione di potere sono sol il 4% Tu sei una giovane donna a capo di un nuovo brand bancario. Le cose stanno cambiando?

Assolutamente sì, il problema della mancanza di donne in posizione di potere è noto, riflettendo un gap culturale, sociale e organizzativo non si può riempire in poco tempo.

Per farlo è necessario riconoscere che la diversità non è importante solo dal punto di vista sociale, ma anche un elemento fondamentale della performance economica. Grandi aziende internazionali, prendo ad esempio il gruppo UniCredit in cui lavoro, hanno già una buona sensibilità rispetto a questo, e portano avanti una visione di inclusività a trecentosessanta gradi. A titolo esemplificativo e con molto orgoglio ti segnalo che UniCredit è una delle 325 aziende incluse nell’indice Bloomberg 2020 Gender-Equality –  GEI, nel 2018 ha aderito alla UK Women in Finance Charter, attraverso la quale la Banca si è impegnata a raddoppiare, entro il 2022, la percentuale delle donne che occupano ruoli manageriali raggiungendo il 20%. Non solo rispetto alle donne, ma anche alla comunità LGBTQ+ e alle diversità fisiche e cognitive, strutturando e adottando processi aziendali per creare un ambiente inclusivo. Questo approccio è fondamentale per tutti, il privato è precursore, non solo dal punto di vista etico ma, come dicevamo prima, perché la diversità interna porta a risultati migliori anche sul piano economico. Bisogna mettere in atto comportamenti aziendali nel rispetto della diversity perché questo va davvero a vantaggio di tutti.

Le nostre diversità, di passato, di retaggio culturale, di pensiero e di punti di vista stimolano idee e creatività e questo è fondamentale per l’innovazione, sia sociale che economica.

Per quanto riguarda UniCredit negli ultimi anni sono aumentate le donne in posizioni di rilievo. Io ne sono un esempio; è stato un gesto di coraggio da parte dell’azienda mettere a capo di un’esperienza nuova come buddybank una donna di quarant’anni quando sono certa vi fossero ottimi manager magari con molti più anni di esperienza rispetto alla sottoscritta.

Si parte a mio avviso da un messaggio forte e chiaro a favore dell’inclusività a livello di top management. Non bisogna dare per scontato che l’intera azienda sia già allineata al principio, è un tema che va sostenuto, ripetuto spesso da coloro che sono faro e esempio di condotta per i dipendenti. A tal proposito UniCredit, per restare in famiglia, ha istituito la figura del Group Diversity and Inclusion Manager, che opera al fianco dell’Amministratore Delegato e altri top executive.

In seconda battuta, le parole devono essere seguite dai fatti: bisogna fornire esempi tangibili, casi scuola concreti che siano visibili anche dal mercato. Scommettere su alcune donne e dar loro posizioni di rilievo.

La terza cosa importante è che questi esempi si dimostrino dei successi. La scelta non deve essere una mera designazione, ma la persona deve poter essere affiancata da un valido team oltre che sostenuta con percorsi di monitoring o coaching. Rispetto ad un normale manager, che altrettanto necessità di tale supporto, se questi casi devono far scatenare una positiva spinta all’emulazione non possono fallire, devono  diventare casi di successo.

Tutti possono sbagliare, ma se sei un “unicum” (che sia una donna in mezzo a tanti uomini, uno straniero in ambiente totalmente italiano, una persona con disabilità…) in posizione di rilievo senti la pressione, i riflettori, per questo è importante che la cosa funzioni al meglio, per creare un loop positivo finché il gap sarà annullato e non sarà più necessario portare esempi o casi scuola

Buddybank è una banca digitale, totalmente online e gestibile da app. Come cambia il profilo del cliente rispetto alla banca tradizionale e come cambia la distribuzione dei generi tra la clientela?

A livello di clientela retail in Italia la distribuzione tra uomini e donne è quasi paritaria, parliamo di una proporzione 55% (uomini)-45% (donne), ma esiste comunque un gap per quanto riguarda l’interazione tra banca e clientela femminile.

Facciamo il caso dei conti cointestati, molto frequenti nelle banche tradizionali, dove i titolari del conto sono un uomo ed una donna. A livello operativo è una soluzione molto comoda per la gestione delle finanze quando si è in coppia o in famiglia e concettualmente dovremmo osservare nel lungo periodo un utilizzo paritetico da parte dei due intestatari di operazioni, acquisiti, richiesta di consulenza. Ma se entriamo nei dettagli, oggi è ancora più la componente maschile che opera, si avvale di un consulente, prende decisioni, sebbene la firma sia poi congiunta.

E’ una opportunità mancata. Se entrambi interagissero con eguale frequenza, ci sarebbe un supporto reciproco nella gestione, ma soprattutto una condivisione profonda delle scelte più importanti che riguardano il proprio futuro e la propria famiglia, scelte capaci di ponderare la sensibilità dei due sessi, per natura differenti in termini di propensione al rischio, aspettativa di vita e percezione del risparmio come singolo.

Nel caso di buddybank la situazione è diversa, ma ahimè il divario è più evidente. La nostra clientela è composta da giovani dai 18 ai 30 anni, i famosi Millenial e generazione Z, mi aspettavo una distribuzione paritetica, considerando che in questa fetta di popolazione ci sono molte giovani donne indipendenti, anche dal punto di vista economico, la proporzione tra uomini e donne è invece 75-25%.

Questo squilibrio è dovuto probabilmente  alle scelte di comunicazione del brand, ma non possiamo ridurci a questo, le ragioni sono a mio avviso più profonde.

Essendo una banca full digital creata anche grazie ad uno speciale alliance agreemnet con Apple, abbiamo indirizzato la comunicazione sugli aspetti più tecnici, tecnologici e finanziari che in genere trovano maggior consenso su un target  maschile.

Ma un tale divario, va ben oltre, mi accorgo che ancora oggi sono vivi alcuni pregiudizi, tra cui il classico: “i soldi non sono un argomento per signorine per bene”.

Stiamo lavorando a fondo per affiancare il nostro Dna di Fintech digitale con un linguaggio empatico ed emozionale che riesca a toccare le corde anche delle clienti donne. A tal riguardo mi fa piacere segnalare varie iniziative:  abbiamo collaborato ad esempio con Io Donna e D Repubblica. Nel nuovo rebranding abbiamo usato nuovi font e colori più gender neutral, abbamo iniziato a collaborare con youtuber che approcciano un’ audience più femminile.

Per il futuro l’intenzione è quella di investire tantissimo nella formazione. Ci rendiamo conto che per quanto riguarda l’ambito gestionale dei soldi in molte donne prevale la ritrosia e la tendenza a delegare.
Al di là di quelle donne che non percepiscono un reddito, anche coloro che hanno uno stipendio spesso molte delegano la gestione finanziaria agli uomini.

Vorremmo arrivare a proporre alle nostre clienti, siano esse correntiste in buddybank o in UniCredit, un maggior coinvolgimento nell’operatvità nelle scelte prospettiche su argomenti quali: liquidità, investimenti e finanziamenti.
Tornando all’esempio delle cointestazioni un piccolo passo da fare è quello di scaricare la app bancaria sul proprio cellulare. Entrare ogni tanto anche solo per verificare l’andamento della liquidità, valutare le principali categorie di spesa, avere consapevolezza dell’impatto di una rata di un prestito o di un investimento. All’inizio può essere uno sforzo, ma poi sono certa che sarà interessante. Noi donne riguardo gli aspetti contabili siamo eccezionali, dobbiamo solo volerlo. Sono certa che presto saremo le prime a voler partecipare ai momenti di condivisione con il proprio consulente.

Mentre il messaggio che vogliamo far passare alle ragazze giovani, tra i 18 e i 30 anni, è molto più semplice, ormai sono diventate autonome da moltissimi punti di vista (viaggiano da sole, fanno le loro scelte liberamente, vanno in percentuale maggiore rispetto agli uomini all’università…), è arrivato il momento di aprirsi un conto corrente autonomo al compimento dei 18 anni, non scordiamocelo, anche l’indipendenza economica è un aspetto fondamentale!

Uno dei progetti per stimolare l’avvicinamento delle donne alla banca e per ragionare sul rapporto tra donne e denaro è stata la collaborazione con storielibere.fm. Come è nata questa idea e quali obiettivi ha contribuito a raggiungere?

A me piace pensare che buddybank sia un po’ magica e che anche io sono un po’ una strega (e che sono una streghetta buona).

Come per tante delle cose che succedono in buddy anche questa è successa attraverso conoscenze fortuite. Volevamo raggiungere il mondo femminile, con una narrazione che non fosse un semplice spot, ma una storia da costruire insieme, una narrazione che potesse durare nel tempo, che raccontasse esempi concreti, diversi, unici, ma efficaci.

Io iniziai ad ascoltare  le prime puntate di Morgana e le trovai di una bellezza e di un’incisività straordinaria.

Dario, un nostro collega con la passione (e la dote) per la scrittura conosceva Chiara Tagliaferri, ci siamo incontrare con lei, Michela Murgia e il team di storie libere.fm e da subito si è creata empatia, soprattutto a causa della una visione in comune che avevamo sull’importanza di divulgare il tema dell’indipendenza economica, ben oltre le finalità commerciali.

Certo, noi sponsorizziamo il podcast anche per “vendere” il nostro prodotto, ma ancora più importante è la voglia di cambiare un aspetto culturale. Ci vuole l’unione di tutti i brand in questa battaglia per cambiare il percepito, poi una volta cambiata la mentalità ”che vinca l’offerta migliore”.

Il podcast è uno spinoff di Morgana, si intitola “Sono io l’uomo ricco”, e raccoglie le storie di donne che sono riuscite ad affermarsi nel mondo degli affari, che non hanno avuto paura di gestire i propri soldi o di essere più ricche dei loro compagni.

Credo che serva molto questa moderna agiografia di donne che ce l’hanno fatta. Serve a spronare le più giovani, ma anche le più mature, perchè cambiare è sempre possibile.

Dopo questo progetto abbiamo visto un aumento dei nostri follower sui social istituzionali, come Linkedin e Twitter, e anche i contatti femminili sulla chat del sito. E abbiamo finalmente aumentato la percentuale femminile. Quel 75-25 di cui parlavo prima, all’inizio dell’anno era 80-20. Il 5% è già un bel risultato, ma certo non ci basta!

Quali progetti avete in cantiere per il futuro?

A dicembre finiremo con Morgana, e vedremo se proseguire. Di solito cogliamo gli spunti di volta in volta. Certamente posso dirti che il tema della diversity, femminile e non, rimarrà al centro del nostro progetto.

Per quanto riguarda il tema LGBTQ+ (l anno scorso abbiamo sfilato al gay pride ma quest’anno il Covid ce lo ha impedito) ci stiamo muovendo su molteplici fronti. Una piccola sfida è la possibilità di modificare il nome sulla carta di credito delle persone che decidono di fare la transizione di genere. In alcuni stati è possibile, in Europa la legislazione è ancora incerta, ma seguiamo il tema con grande interesse e intendiamo fare da apripista non appena sarà consentito.
La diversity è un tema di brand identity e continueremo a perseguirla, perché non è mai abbastanza.

In conclusione una domanda più personale: la tua Morgana preferita?

A me quello che piace del podcast è l’effetto che fa mentre lo ascolto, quando mi fa rendere conto magari di aspetti che non avevo considerato.

Mi è piaciuta molto la figura di Helena Rubinstein, perché scardina lo stereotipo che associa il make up alla frivolezza, come se truccarsi fosse minoritario. Forse come la sufficienza usata per ritenere che una donna non debba occuparsi di denaro così si ritiene banale che pensi  a smalti e rossetti.

In realtà la cosmesi è un business miliardario, pari a quello del calcio o delle automobili, per citare due stereotipi tipicamente maschili. Ascoltare quella puntata mi ha fatto capire che io stessa ero un po’ vittima di questo preconcetto, e mi ha colpito quello che Helena è riuscita a costruire nonostante tutte le avversità. Ci sono tantissime donne che amo, esulando da Morgana… mi piace molto la figura di Michelle Obama. Nel suo libro “Becoming” ho trovato molta umanità. Parla anche dei suoi errori, dei suoi problemi, e ci fa capire che per affermarci non dobbiamo per forza essere Wonderwoman, ma dobbiamo essere capaci di accettare dei compromessi. Non puoi essere sempre al massimo in tutti gli ambiti, la famiglia, gli interessi, la carriera, e va bene così.

Credo sia importante conoscere figure femminili di tal importanza, affinché la libreria dei nostri riferimenti culturali sia ricca anche di “miti” femminili e non solo di quelli maschili con cui siamo cresciute noi “ragazze” degli anni 80.