Violenza contro le donne: un problema di analfabetismo emotivo?

Di Alessandra (Sasha) Frascati

Siamo state amate e odiate,
adorate e rinnegate,
baciate e uccise,
solo perché donne.
(Alda Merini)

E’ una domenica mattina come tante. Sono a casa e, mentre scorro le ultime notizie sul sito di “Repubblica”, pigramente stesa sul divano, mi imbatto nell’ennesimo fatto di cronaca nera che vede imputato un uomo di mezza età, accusato di stupro nei confronti di una giovane ragazza appena maggiorenne.

Casi come questo sono all’ordine del giorno: ne sono pieni i giornali, ne parlano in continuazione i telegiornali e i tabloid, pronti a ricordarci che la violenza di genere è una triste realtà, che il fenomeno sta crescendo in maniera esponenziale, al punto che uno stupro, una violenza in famiglia o addirittura un femminicidio non destano più l’orrore che dovrebbero, tanto siamo abituati ad essere spettatori di un copione che si ripete infinite volte con violenza inaudita.
Secondo recenti dati Istat (2014) sono quasi 7 milioni le donne al mondo che hanno subito una qualsiasi forma di violenza (fisica e non), mentre in Italia è 1 donna su 3 ad esserne vittima. 
Ci sono voluti anni, secoli di lacrime e sofferenze perché le Nazioni Unite finalmente istituissero nel 1999 una giornata che ricordi al mondo intero quanto sia sbagliata la violenza contro le donne.

A ben pensarci, l’idea che sia stato necessario istituire una giornata mondiale per ricordare una cosa scontata come il no alla violenza sulle donne lascia l’amaro in bocca, ma la storia spesso ci insegna che è necessario rimarcare infinite volte quello che il buonsenso dà per scontato.

In questo articolo avrei potuto analizzare più a fondo i dati legati a questo allarmante fenomeno, parlare delle iniziative organizzate nei vari paesi in occasione del 25 novembre, delle migliaia di scarpe rosse che ogni anno in questo giorno ricoprono il suolo di piazze di fama mondiale, ma ho deciso di dare un taglio più peculiare che andasse oltre la mera condanna o la semplice descrizione dei fatti fine a se stessa.

La mia vuole essere una riflessione sui motivi profondi che spingono gli uomini a commettere azioni infime contro le donne, retaggio di una società ancora, ahimè, profondamente maschilista e patriarcale, nella quale la donna non viene considerata un essere indipendente, ma una semplice proprietà dell’uomo, un oggetto che gli appartiene e sul quale può esercitare un diritto e un potere assoluto, adducendo spesso la scusa (assurda!) di amarla troppo, di non volerla perdere. 

Nella sua opera più famosa, lo psicologo statunitense Daniel Goleman introduce il concetto di intelligenza emotiva, sottolineando l’importanza di educare i nostri figli a riconoscere e dare valore alla sensibilità, alle emozioni. Mi sono più volte chiesta se il problema della violenza di genere sia anche un problema di ignoranza emotiva, o meglio, dell’incapacità da parte di alcuni uomini di accettare e dare il giusto peso ai propri sentimenti, alle emozioni, all’empatia, visti troppo spesso come estranei alla loro mascolinità e per questo demonizzati e ridimensionati.

Secondo la psicologia jungiana, nell’inconscio di ogni essere umano l’archetipo del femminile è sinonimo di sensibilità, comprensione, dolcezza, ascolto delle emozioni. Tutte qualità meravigliose, ma che vengono derise e disprezzate dalla nostra società, fondata su valori quali la sopraffazione, l’abuso, la furbizia, lo sfruttamento del più debole da parte del più forte.
Di contro, l’archetipo del maschile, che incarna il coraggio, la forza, la fermezza, la decisione e la prevaricazione è valorizzato e ritenuto superiore rispetto a quello femminile, considerato portatore di un sentimentalismo sconveniente e pericoloso per la nostra società. 

Troppo spesso ai maschi si insegna fin da piccoli a non fare la femminuccia, a uccidere dentro di sé ogni espressione di empatia e condivisione dei sentimenti. Essere veri uomini significa annientare la dolcezza, ricacciare indietro le lacrime, essere forti, fino ad arrivare a percepire soltanto la propria superiorità.

E’ proprio da questa castrazione della sfera affettiva che si sviluppa, spesso, la violenza sulle donne, che vengono oltraggiate, derise e sfruttate in mille modi proprio a causa delle loro qualità sentimentali, che fanno rabbia a chi ha cercato per anni di soffocare la propria sfera emotiva per conformarsi ai dettami imposti dalla società. 

Mi chiedo se la lotta contro la violenza alle donne non debba essere combattuta dando priorità ad una forma occulta e pericolosa di analfabetismo, quella che genera l’ignoranza emotiva di molti uomini. Come ben sottolinea Goleman, vi è senza dubbio una forte necessità di educare le future generazioni di uomini ad un’alfabetizzazione delle emozioni, al rispetto e all’empatia già fin dai primissimi anni dell’infanzia.

Solo chi ha il coraggio di affrontare le proprie fragilità può ritrovare se stesso ed essere libero, senza bisogno di colpire negli altri il riflesso delle proprie paure.