In the image of God: un dialogo tra fede e identità di genere

di Elisa Belotti

In the image of God è la storia di una scoperta, quella che il rabbino Levi Alter fa di se stesso, e di come unire fede e identità di genere. Sono necessariamente due poli opposti? Quali punti di contatto esistono tra religione – in questo caso si parla di ebraismo – e mondo intersex? La fede può essere una via per l’autodeterminazione?
Sono tutti temi esplorati dalla regista esordiente Bianca Rondolino nel suo cortometraggio, presentato al Torino Film Festival e recentemente riproposto anche dal progetto di distribuzione cinematografica Streeen!.

Il documentario narra la storia di Levi, ponendolo al centro della scena e ascoltandone la testimonianza diretta. L’attuale rabbino di una comunità ebraica di Los Angeles è intersessuale, come la nonna e la bisnonna. Le persone intersessuali nascono con caratteri sessuali primari o secondari che non rientrano nella definizione convenzionale di maschile e femminile. Stiamo parlando dell’1,7% della popolazione mondiale, più o meno come le persone con i capelli rossi. 

Levi racconta che la bisnonna si trovava a suo agio con l’identità femminile che le è stata assegnata alla nascita. Sua nonna, invece, provava un forte conflitto e rimase relegata in casa per anni perché lo stress dato dal contatto con le altre persone era forte.
Levi, come molte altre persone intersex, è stato sottoposto, poco dopo la nascita, a un intervento chirurgico per trasformare i suoi genitali e adeguarli a quelli di una bambina. Crescendo, però, si rese conto di non sentirsi una bambina, ma un bambino e così viveva all’interno della sua famiglia. A scuola, però, era spronato a vestirsi e comportarsi come una femmina.

A nove anni ebbe un malore. Lo sottoposero a un intervento d’urgenza per quella che sembrava un’appendicite. Una volta entrato in sala operatoria, però, i medici si resero conto di trovarsi di fronte a un testicolo. Nessuno sapeva che Levi avesse i testicoli nell’addome, perché nessuno lo aveva visitato a riguardo. La sua intersessualità fu ignorata ancora una volta e, senza informarlo o chiedere il consenso della famiglia, gli tolsero i testicoli, dicendogli poi che con una terapia ormonale lo avrebbero reso «a real woman». Sono pochi i Paesi in cui la legge impedisce gli interventi chirurgici su bambini e bambine intersex senza il loro consenso. Più precisamente solo quattro: Austria, Malta, Portogallo e Uruguay.

Come accadeva in tante comunità ebraiche, anche in quella in cui è cresciuto Levi (New York) non c’era un libero accesso ai mezzi informativi. Durante l’adolescenza, quindi, non aveva parole che descrivessero la sua situazione e non conosceva altre persone come lui. Fu grazie a un’amica che scoprì di non essere l’unica persona intersex né l’unica a desiderare una transizione. A quindici anni realizzò che si poteva cambiare l’esterno del proprio corpo per farlo combaciare con il genere d’elezione. Fu un momento di svolta.

Il giovane Levi si chiedeva che cosa significasse essere uomo o donna. È la società a stabilirlo? Il corpo? Il certificato di nascita o i documenti? Arrivò alla conclusione che ciò che una persona percepisce e il genere cui sente di appartenere sono elementi fondamentali per capire la strada da percorrere e autodeterminarsi. Una volta iniziato il college, cominciò infatti la transizione e

«the outside of my life finally begins to fit the inside of my life and who I really was».

Levi, inoltre, era interessato alla spiritualità e alle diverse religioni. Decise quindi di diventare un rabbino e unire la sua esperienza di persona intersex e di fedele per cercare dei punti di contatto tra questi due mondi.


«Every society of the world and every religious tradition actually knows about intersex and transgender people. You just have to know where to look».

Bisogna quindi avere le parole giuste e sapere cosa leggere, ma poi è possibile individuare nelle Scritture le storie di persone LGBTQI+ e rispecchiarsi in esse.

Secondo il rabbino, Dio ha creato la diversità a sua immagine e somiglianza – «I am the way that God made me» – senza conformarsi agli stereotipi umani. Ogni persona nasce dall’ideale divino e, di conseguenza, non dev’essere ferita, chiamata malata, mostruosa o peccaminosa. Ogni essere umano è perfetto così com’è.

Questo è il messaggio che Levi e la moglie Yona diffondono, attraverso i media. Pubblicano uno studio biblico settimanale in cui mostrano la diversità insita nei racconti biblici e fanno attivismo e divulgazione tra associazioni (come la FTM International) e piattaforme online. Lo scopo è mostrare che ogni persona, in quanto riflesso divino, è sacra e perfetta così com’è.

La sfida più grande per il rabbino Levi è stata accettare se stesso. Non si sentiva mai abbastanza. Nessuno standard sociale corrispondeva a ciò che lui faceva o percepiva e non si sentiva amato. Dopo un lungo percorso e anche grazie alla fede, è arrivato a dirsi: «You’re fine just the way you are. You don’t have to be perfect. You just have to be you» e a ribadirlo a più persone possibili.

Un racconto che unisce fede, identità e accettazione. La storia di Levi fa anche di più perché, come sostiene la regista Rondolino, «mette in discussione non solo le nostre certezze sul genere, ma anche il modo in cui si inquadra il dibattito politico: tradizione contro progresso, religione contro libertà individuale, vecchie generazioni contro nuove generazioni». In the image of God mostra allora come la realtà sia densa di sfumature. L’intersessualità si presenta in vari modi, le identità di genere sono molteplici e anche le istituzioni più tradizionali possono aprirsi, includere ed essere strumento di inclusione.