Transizioni come interregni. Un inizio instabile

Di Mari Catricalà

Ho scelto di proporvi, come puntata zero di questa rubrica, degli spunti di riflessione sulle migrazioni e le transizioni. Per genetica – sono figlia di madre giapponese e di padre italiano – entrambe le parole dovrebbero suonarmi più che familiari; eppure ho iniziato a prenderne coscienza solo da qualche mese, come a volte accade con quei concetti che fanno parte della tua persona da prima che nascessi, ma che non ti sei mai accorta di aver interiorizzato. Sono, questi, dei concetti che, finché non ti vengono proposti da un punto di vista diverso e inaspettato, non affiorano alla superficie, restando quasi nascosti e sopiti in quella specie di palude un po’ indefinita che è la tua identità. 

Il punto di vista inaspettato mi è stato offerto a settembre da un’amica, che mi ha consigliato di ascoltare una delle ultime puntate del podcast mensile “S/Confini” di «The Submarine», il servizio di informazione online nato a Milano nel 2016. L’ospite della puntata era Claudia Durastanti, di cui avevo già letto e apprezzato moltissimo l’ultimo romanzo, La straniera, edito da La nave di Teseo e arrivato finalista al Premio Strega nel 2019. Proprio a partire da questo romanzo si è sviluppata la conversazione tra le due speaker, Maria Mancuso (su Instagram: @mancatena; su Twitter: @MariaC_Mancuso) e Nathasha Fernando (su Instagram: @natifernando; su Twitter: @natifernando), e la scrittrice.

“S/Confini” è un podcast dedicato ai temi della migrazione e dell’identità. In questa puntata, in particolare, le tre voci si sono confrontate su cosa significhi per loro essere «expat» e su come intendere le varie identità che finiamo col crearci quando migriamo continuamente in paesi diversi – e quando ci restiamo per tanto tempo. Uno dei termini che ha attirato di più la mia attenzione è stato «interregno»: non è una parola che si sente spesso, ma appena l’hanno pronunciata ho avuto l’impressione che in qualche modo mi appartenesse e che dicesse qualcosa anche di me. Non sono mai espatriata e non mi sono mai sentita propriamente una migrante, ma ho comunque percepito che quella parola fosse la più esatta per descrivere qualcosa che sentivo, non solo dentro di me, ma anche attorno a me. 

La straniera è un romanzo biografico/autobiografico che parla di molte cose, alcune delle quali sicuramente avrò modo di proporvi proprio in questa rubrica. Ma forse si può individuare un tema centrale, quello che percorre tutte le pagine del libro e che è insito già nel titolo: le migrazioni continue da un paese a un altro e le implicazioni in termini di identità che queste comportano. La parola «interregno» emersa dal podcast è una sorta di traduzione di quello che, nel romanzo, Durastanti chiama «NEVERLAND», quello spazio di mezzo occupato da alcune persone migranti quando ormai hanno lasciato fisicamente il paese di provenienza e si trovano nel paese che dovrebbe accoglierle; una zona intermedia che le tiene – per contingenza o per loro scelta – ancora legate a ciò che hanno lasciato.  Da questo interregno psicologico e culturale è come se mandassero «un ologramma di se stessi in giro per il futuro», ologramma che è l’unica cosa che gli altri vedono di loro o che addirittura, a volte, non vedono affatto. Maria Mancuso e Nathasha Fernando parafrasano bene questo concetto quando dicono che, in quanto straniero-ologramma, «hai un po’ l’impressione che se sparissi nessuno se ne accorgerebbe».

Ma ci può essere, nello stesso interregno, anche un modo meno evanescente di interpretare una condizione simile: Durastanti parla di «marshes», acquitrini, sia nel romanzo («La mia parola preferita in inglese è marshes») sia nel dialogo in “S/Confini”, dove spiega perché per lei questa è una parola così significativa: «sono queste zone tra acqua e terra, limacciose, che cambiano molto spesso forma in base alle condizioni atmosferiche, e quello è proprio un ambiente fisico in cui io mi sento a mio agio perché, secondo me, è un riflesso di come poi io ho iniziato a concepire l’appartenenza a un luogo e a un posto». Si può essere ologrammi inconsistenti o ambienti paludosi in continuo cambiamento, e si può anche essere entrambe le cose senza necessariamente sfociare nella contraddizione, come se fossero due facce di una stessa medaglia chiamata, appunto, interregno.

Ho assorbito tutto questo nel settembre 2020, e viste anche le circostanze individuali e collettive poco definite e decisamente molto caotiche, non ho potuto fare a meno di interpretare quelle parole in maniera metaforica.

interrégno s. m. [dal lat. interregnum, comp. di inter «tra» e regnum «regno»]. – Intervallo di tempo fra la morte, l’abdicazione, la deposizione di un re, o altro sovrano, e l’elezione o la proclamazione del successore: grande i. (o terribile epoca dell’i.), nella storia medievale, il periodo compreso tra la morte (1254) dell’imperatore Corrado IV di Svevia e l’elezione (1273) di Rodolfo d’Asburgo. Anche, il governo di chi esercita il potere in tale periodo, istituto che ebbe particolare importanza nell’antica Roma. Per estens., il periodo di vacanza fra alte cariche (per es., ifra due dogi), e più genericam., talora scherz., periodo di passaggio, di transizione, di crisi, tra fatti, avvenimenti, momenti storici o anche personali, ecc.

Questa è la definizione di «interregno» che ho trovato sul vocabolario Treccani online ed è stato proprio il significato generico, “talora scherzoso”, ad avermi convinta a riflettere un po’ di più su questo concetto che ho sentito subito mio.

L’interrégno della migrazione da paese a paese può diventare una metafora dei diversi interrégni in cui una persona si trova a stazionare in vari momenti della sua vita. In questa rubrica vorrei suggerire che ogni crisi, ogni transizione, ogni pensiero che precede e segue una scelta sia un interrégno particolare. E credo anche che, spesso, i diversi interrégni si presentino assieme, si confondano, e per questo provochino, in chi vi si trova immerso, degli scombussolamenti emotivi non indifferenti. 

Per questo ho voluto intitolare la rubrica al plurale, Interrégni, uno spazio di mezzo in cui provare a valorizzare questi movimenti e queste mescolanze. In ogni puntata, cercherò di illuminare degli aspetti di alcuni testi di autrici che mi hanno colpita particolarmente per gli interrégni (le crisi, le transizioni) che secondo me rappresentano. 

Le basi instabili per l’inizio di una migrazione dovrebbero essere state gettate. Spero di ritrovarvi alla prossima tappa.