Progetto LoveWear: il primo sex toy per donne disabili è italiano

Di Sofia Brizio

Nella puntata di oggi della rubrica Interfeminism, intervisto Emanuela Corti, Ivan Parati e Valeria Serra, creatori del progetto LoveWear, il primo sex toy dedicato alle donne con disabilità motorie che ci insegna come non solo il sesso, ma soprattutto la scoperta del proprio corpo, siano un diritto universale troppo spesso lasciato in secondo piano. Buona lettura!

Nel mio primo articolo per il blog ho parlato della mia esperienza di donna disabile e di come spesso l’argomento sessualità e disabilità sia affrontato con imbarazzo o non affrontato affatto, credendo erroneamente che le persone disabili non abbiano né una vita né desiderio sessuale, né tantomeno padronanza del proprio corpo. La conseguenza è che i disabili, in particolare le donne, non ricevono un’educazione sessuale adeguata, e ciò può avere un impatto significativo sullo sviluppo emotivo dell’individuo e sulla sua salute mentale. Questo tipo di conversazione è particolarmente assente in Italia, che sia per motivi religiosi o stereotipi legati al mondo della disabilità degni del medioevo. In Italia i disabili non esistono, se esistono sono invisibili, e soprattutto non fanno sesso. 

Fortunatamente, tutto questo sta per cambiare anche grazie a LoveWear, il primo sex toy a forma di biancheria intima per donne disabili, progettato dalla start-up lombarda Witsense con l’obiettivo di creare strumenti volti al miglioramento della vita quotidiana di persone disabili e non, attraverso l’innovazione sensibile volta a  favorire l’inclusione sociale. Ho scoperto LoveWear grazie a Valeria Serra, studentessa neolaureata in ingegneria biomedica al Politecnico di Milano, la quale ha collaborato al progetto per la sua tesi, occupandosi di selezionare e testare i materiali. Valeria ha anche assistito ai focus groups attraverso cui si è riscontrata la necessità di un dispositivo come LoveWear soprattutto a livello sociale ed educativo. 

“Ci siamo resi conto che era necessario parlare di queste tematiche e sviluppare un discorso che in Italia è ancora un tabù,” spiega Ivan Parati, designer esperto in sistemi modulari e professore alla Ajman University (UAE). Proprio a causa di questa mancanza di dialogo in Italia, attivist* nel mondo della disabilità inglese e americano sono stat* di grande ispirazione per il progetto. Si pensi a personalità del movimento disability and body positive quali Alex Dacy, Jillian Mercado e Aaron Philip.

 “Tutti i corpi hanno gli stessi diritti,” dice Emanuela Corti, anche lei professoressa alla Ajman University, oltre che product designer, ricercatrice ed educatrice. “Il progetto non è nato perché abbiamo persone care o amici disabili,” spiega. “Credo piuttosto che attraversando esperienze come la genitorialità si capiscano anche altre cose in maniera diversa”. 

Emanuela però si è resa conto fin dall’inizio della difficoltà di traslare in prodotto un’esperienza mai vissuta sulla propria pelle, perciò il lavoro di preparazione alla creazione del sex toy è stato fondamentale: “Abbiamo preparato un questionario con una psicologa, Paola Tomasello, che fa parte del comitato di Lovegiver, l’associazione di Max Ulivieri. Lo dico perché quando parlo di questo progetto a dire la verità mi sento un po’ in difetto. Non essendo disabile mi chiedo sempre quale sia la percezione di queste tematiche da parte di chi le vive in prima persona. Il questionario era indirizzato a persone con disabilità motorie ed è stato distribuito attraverso organizzazioni e associazioni con cui la psicologa era in contatto. È stato difficile raggiungere altri gruppi”.

Il questionario è stato comunque tradotto in inglese, tedesco e spagnolo, con vari risultati: “È stato interessante vedere la differenza di reazione soprattutto tra italian* e spagnol* a domande quali ‘come immagini il tuo sex toy ideale?’. Tra le risposte degl* italian* c’era spesso ‘non esiste’ o ‘non lo so’. Le risposte, quando c’erano, erano monosillabiche. Gl* spagnol* invece scrivevano poemi!”.  

Questo esemplifica quanto poco si parli di queste tematiche tra persone con disabilità in Italia. Per questo LoveWear nasce soprattutto come strumento di scoperta personale e sensibilizzazione. “A parte la questione delle disabilità motorie, per cui il prodotto aiuta chi ha difficoltà nella gestione dei sex toys tradizionali e/o nell’arrivare ai propri genitali con le mani, abbiamo voluto pensare a qualcosa che fosse effettivamente educativo, perché se non ti sei mai toccat*, che sia perché non riesci ad usare un sex toy o perché non sai cos’è [la masturbazione], c’è bisogno di educare. Stanno emergendo tanti programmi online di educazione alla sessualità per disabili, quindi abbiamo pensato che senza dubbio ci sono delle potenzialità anche in questo ambito, e non escludiamo di aprirci anche ad altri tipi di disabilità e generi ma, per ora, vista la durata del progetto e le nostre risorse, ci siamo limitati alle disabilità motorie.”

Ma come funziona LoveWear? Il prodotto è composto da un paio di mutande contenenti dei cuscinetti che si gonfiano e si sgonfiano dolcemente sui genitali, stimolandoli, ma anche sui glutei e sui fianchi, per simulare il tocco umano. “Al momento nel prototipo finanziato da ReFream abbiamo inserito parecchi canali e valvole per gonfiare i cuscinetti, per cui ci sono due cuscinetti ai lati per dare la sensazione di contatto sui fianchi, e due sui glutei, e poi c’è una parte centrale [sui genitali] divisa in quattro camere una vicina all’altra che gonfiandosi in sequenza danno la sensazione di movimento. L’idea è di creare un effetto naturale evitando la vibrazione tipica della maggior parte dei sex toys, per simulare il tocco”. Tutto ciò è frutto di un lungo lavoro di ricerca sul corpo e il piacere femminile tramite programmi come OmgYes.com.

I movimenti dei cuscinetti possono essere controllati dall’utilizzatore toccando un cuscino e usando una app. La persona tocca il cuscino con qualsiasi parte del corpo, anche con collo o spalle per chi non ha manualità, come se fosse il corpo di un partner. La combinazione di movimenti viene letta attraverso una app per smartphone. “L’app interpreta la gestualità sulle zone sensibili del cuscino e le combinazioni create sono restituite come una serie di feedback diversi nell’intimo. Perciò se io faccio un movimento circolare sul cuscino l’applicazione lo rileva e invia l’impulso,” spiega Ivan. Questo rende LoveWear utilizzabile anche in giochi di coppia o con l’assistenza di un caregiver.

Ma la finalità del prodotto è l’autonomia, spiega Emanuela: “Abbiamo pensato all’intimo perché abbiamo visto che alcune persone devono essere aiutate la mattina quando si svegliano. L’idea era quella di permettere di indossare qualcosa al mattino con l’aiuto di terzi dove necessario, e di attivarlo in autonomia in qualsiasi momento della giornata. I classici sex toys da posizionare nell’intimo non si possono tenere tutto il giorno, quindi l’idea era di rendere le parti gonfiabili confortevoli nell’intimo.”

Con il primo prototipo presentato ad agosto 2020, “LoveWear è ancora un work in progress,” precisa Ivan. “Stiamo cercando di abbassare i costi di industrializzazione affinché il prodotto sia accessibile, quindi probabilmente faremo dei cambiamenti. La premessa è che la commercializzazione non è necessariamente il fine ultimo dei prodotti che disegniamo. I nostri prodotti hanno la finalità di sensibilizzare e soprattutto affrontare tematiche scomode, e su questo ci siamo resi conto di essere sempre un po’ in anticipo rispetto al mercato. È quello che facciamo in Witsense, siamo il braccio della ricerca relativo all’aspetto di sperimentazione nell’esplorare sia nuovi mercati sia nuove tecnologie e tecniche. Ci vorrà tempo, ma cerchiamo di volare alto.”

Via Witsense

“Noi partiamo dalla dimensione della disabilità perché ci rendiamo conto che prima o poi è qualcosa che sperimenteremo tutti nella vita”, conclude Ivan. Già presentato internazionalmente, LoveWear potrebbe cambiare la vita a milioni di persone con disabilità motorie e rompere i tabù attorno a disabilità e sessualità. Questo è il made in Italy che ci piace. 

Se vi è piaciuto l’articolo e volete saperne di più, non perdetevi la chiacchierata con Emanuela Corti, Ivan Parati e Valeria Serra, dal vivo martedì 2 marzo sulla nostra pagina Facebook