A cosa serve la memoria?

Di Elena Esposto

In una splendida poesia sulla guerra la poetessa polacca Wislava Szymborska scrive:

Chi sapeva
di che si trattava,
deve far posto a quelli
che ne sanno poco.
E meno di poco.
E infine assolutamente nulla.

Sull’erba che ha ricoperto
le cause e gli effetti,
c’è chi deve starsene disteso
con la spiga tra i denti,
perso a fissare le nuvole.

Questa è una delle mie poesie preferite e, ogni volta che la rileggo, mi interrogo sul significato di questi ultimi versi. È come se Szymborska si augurasse che le nuove generazioni possano dimenticare l’orrore della guerra per poter continuare a condurre serenamente la loro vita.
Questa riflessione mi si ripresenta ogni anno a gennaio, quando iniziano i preparativi per la Giornata della Memoria.

Che cosa significa davvero ricordare? E che cosa ci spinge a farlo, o invece a decidere di dimenticare? Davvero dimenticare rende la nostra vita più serena, mentre la memoria la offusca e ottenebra?

La Giornata Internazionale della Memoria dell’Olocausto è stata istituita il 1° novembre 2005 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con lo scopo di promuovere la conoscenza della storia dell’olocausto e nella speranza di prevenire futuri genocidi.
Del resto gli anni ’90 erano stati spettatori di orribili episodi di pulizia etnica, solo per citarne due quello dei Balcani e quello del Ruanda, quindi certamente una rinfrescata alla memoria male non poteva fare.
Tuttavia, come scriveva Seneca nelle sue Epistulae morales ad Lucilio, gli esempi di mortalità che la vita ci pone davanti durano in noi solo il tempo in cui li osserviamo. Certo, lui parlava dell’importanza di ricordarci che la vita è breve e che dobbiamo morire, ma credo che questo possa applicarsi a tutti gli ambiti che ci vedono solo superficialmente coinvolti nella memoria di un fatto.

Secondo l’enciclopedia Treccani la memoria è la “capacità di conservare traccia più o meno completa e duratura degli stimoli esterni sperimentati e delle relative risposte”.
Da qui potremmo dedurre che è possibile conservare memoria solo di ciò di cui abbiamo fatto esperienza diretta.
Dunque Seneca avrebbe ragione, qualsiasi esempio o stimolo che non ci tocca direttamente avrebbe effetto solo finché lo guardiamo.
Così la memoria dell’Olocausto creerebbe grande commozione e interesse nei giorni attorno al 27 gennaio per poi perdere il suo affetto. Cosa che tra l’altro sembra plausibile dal momento che anche dopo il 2005 i genocidi su base etnica e religiosa sono continuati indisturbati. Pensiamo al Sud Sudan, al Myanmar o al genocidio degli Yazidi da parte dell’ISIS.

A cosa serve dunque la memoria? In che modo può avere senso ricordare un evento traumatico come l’Olocausto limitandosi ad una giornata all’anno?

La prima risposta che mi sono data ha a che fare con la giustizia. Ricordare significa rendere giustizia alle vittime, e serbarle e richiamarle nel ricordo è un aspetto importante del processo.
L’altro lato della giustizia consiste nel ricordare ed ancorare per sempre i carnefici alle loro azioni. Questo in un’ ottica storica dovrebbe servire anche come monito per poter riconoscere eventuali nuovi carnefici qualora apparissero all’orizzonte della scena politica.
Così facendo però torniamo alla questione inziale: se la Giornata della Memoria possa prevenire altri genocidi. Inoltre questa seconda interpretazione pone dei problemi non indifferenti. Quando ricordare significa aggrapparsi con le unghie e con i denti al risentimento la possibilità che certi eventi non si ripetano diventa pressoché irrealizzabile. Guerre terribili si sono scatenate a causa del ricordo di torti passati. La guerra in Jugoslavia è stata una di quelle, e l’avvento stesso di Hitler è stato facilitato dal ricordo del trattamento che la Potenze dell’Asse avevano riservato alla Germania ai tavoli della pace.

Se vogliamo uscire dall’empasse è necessario trovare un’altra strada. Nel suo ultimo romanzo Jack London scrive:

“Come avviene per qualsiasi essere vivente, anch’io sono il risultato di un processo di crescita. Non ho avuto inizio quando sono nato o, addirittura, nel momento in cui sono stato concepito. La mia crescita e il mio sviluppo sono l’esito di un numero incalcolabile di millenni. Tutte le esperienze fatte nel corso di queste e di infinite altre esistenze hanno per gradi dato forma a quell’insieme – possiamo chiamarlo anima o spirito – che è il mio.”

In quest’ottica lo spazio e il tempo della memoria si dilatano arrivando a coinvolgere direttamente anche chi è lontano per storia o geografia.

L’evento traumatico dell’Olocausto diventa allora un lutto collettivo che si protrae attraverso i decenni, e la memoria diventa strumento di elaborazione di quel lutto.

In questo senso si orientano i tribunali di giustizia riparativa come Commissione per la verità e la riconciliazione del Sud Africa, nata con lo scopo di sanare le ferite della società sudafricana attraverso la costruzione di un dialogo tra vittime e carnefici.
Naturalmente in questo contesto di rielaborazione collettiva del lutto la memoria, il ripercorrere insieme gli eventi, ha importanza cruciale.

Sempre più Paesi hanno riconosciuto la necessità per la società di fare insieme i conti con il proprio passato. Ne sono un esempio gli sforzi dei Paesi sudamericani, come il Brasile o l’Argentina, nella ricostruzione della verità e della memoria.
In Brasile la Secretaria Especial dos Direitos Humanos si è mossa per riconoscere come diritto umano fondamentale quello alla memoria e alla verità.
La ricostruzione dei fatti tragici avvenuti nella lunga notte delle dittature sudamericane è di fondamentale importanza per ricomporre le fratture che ancora oggi dividono la società civile.

Non tutti però vanno nella stessa direzione. A riprova che la memoria è un potente strumento di unione sociale, il 28 dicembre scorso la Corte Suprema russa ha messo al bando “Memorial”, un’organizzazione che dal 1990 si occupava di mantenere viva la memoria storica dei crimini dello stalinismo, e che in anni più recenti era diventata la principale organizzazione per la difesa dei diritti umani del Paese.
La corte suprema Russa è controllata dal Cremlino che, dopo anni di attacchi più o meno rivendicati, ha deciso di spazzare via definitivamente il suo antagonista.
Anche la Russia, come i paesi del Sud America, non ha fino ad oggi affrontato apertamente gli orrori della dittatura e la liquidazione di “Memorial” rende esplicito il volere del governo di non compiere passi in questa direzione.

La memoria dunque, pur essendo comune a tutti gli organismi viventi, rappresenta un elemento fondante per le società umane. Attraverso la rielaborazione collettiva del passato possiamo dare senso al presente e trovare nuove e migliori strategie per organizzarci e vivere insieme.

E in quest’ottica sì che diventa possibile anche scongiurare il ripetersi di eventi tremendi nel futuro. In questo senso credo che Wislawa Szymborska intendesse gli ultimi versi della sua poesia.
Non ci chiama ad una vuota dimenticanza, ma all’utilizzo della memoria per poter andare avanti, lasciandoci alle spalle le zavorre del risentimento, e ricostruire insieme sulle macerie della storia.