Il lavoro che non è lavoro: il dramma degli stage

Di Beatrice Scalella

C’è una parte della popolazione italiana che sembra essere invisibile agli occhi dello Stato: lз giovani che non lavorano né sono disoccupatз, che occupano tempo lavorando senza avere gli stessi diritti di chi ha dei contratti stabiliti. C’è una parte d’Italia che lavora e non ne riceve alcun beneficio, che soffre e viene mortificata ogni giorno sotto gli occhi di tuttз, in modo assolutamente legale e compiacente. C’è una parte d’Italia a cui il sistema pensa solo in funzione di ciò che può dare senza essere considerata per quello che è e che fa.

Dai report pubblicati annualmente dal Ministero del Lavoro si hanno alcuni dati sui tirocini extracurriculari, per cui negli ultimi anni si sono fatti piccolissimi passi in avanti: sono, infatti, gli unici stage che prevedono un rimborso spese il cui minimo è stato fissato a 300 euro, variante da regione a regione (il più alto viene dal Lazio che parte da un minimo di 800 euro). Nel 2020 sono stati attivati oltre 235.000 contratti di questo tipo (il 35% in meno rispetto al 2019), di cui il 76% nel settore dei Servizi e oltre la metà al Nord del Paese. Le persone interessate da questo tipo di stage sono soprattutto under 35 (l’82%) e non risultano esserci differenze sostanziali di genere. Gli ultimi dati ministeriali che abbiamo riguardano il terzo trimestre del 2021, in cui si vede un aumento delle attivazioni dei tirocini rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+11,5%). Il rapporto Anpal 2021 mostra come il tasso di occupazione dopo 6 mesi sia di quasi il 30%, di cui beneficiano maggiormente gli uomini rispetto alle donne di oltre 7 punti. Inoltre, la maggior parte di essз (46%) vengono assuntз in apprendistato, il 37% a tempo determinato e solo il 12% con contratto indeterminato.

Seppure gli stagisti extra-curriculari abbiano il “privilegio” di avere un rimborso spese – con cui in realtà spesso non riescono nemmeno a pagarsi l’affitto – c’è una grande fetta della popolazione under 25 che non è degna nemmeno di essere considerata nei report annuali e statistici del Ministero. Quanti sono i tirocini curriculari e le alternanze scuole-lavoro (obbligatorie dalla legge 107 del Governo Renzi, per cui lз studentз delle superiori lavorano 180 ore – e 90h per lз liceali – in aziende e imprese italiane senza ricevere alcun compenso)? Perché queste persone non vengono nemmeno conteggiate se sono un “investimento umano” così importante per le aziende italiane?

E mentre il mondo del lavoro combatte – giustamente – per diminuire le diseguaglianze contrattuali ed economiche, all’interno di esso c’è una parte che non viene nemmeno considerata: chi lavora ma legalmente non lo fa, chi passa 40h settimanali in un’attività che spesso lə paga 300 euro al mese, chi lavora per 180h e porta avanti l’economia di un’azienda che non lə da niente in cambio, chi vive costantemente nella precarietà o nel dover fare più lavori (se non si ha una famiglia benestante alle spalle) pur di formarsi e mettere qualcosa nel Curriculum. C’è un dramma legalizzato che confina, ogni giorno, migliaia di persone al margine del mercato del lavoro, in cui entrano e sono attive come il resto della popolazione ma senza avere alcun tipo di diritto né compenso.

C’è un dramma legalizzato che uccide e considera “morte sul lavoro” quello che invece è morte da sfruttamento, che ti obbliga a lavorare senza essere pagatə. C’è un sistema legalizzato che lascia solз le persone in formazione mentre le aziende guadagnano da attività non pagate o pagate poco, un sistema che mortifica, fa male e nuoce quotidianamente chi sta cercando di entrare in un mercato che continuerà il vortice di dolore, violenza e discriminazione.

Non bisogna più scendere a compromessi sugli stage cercando di regolamentarli di più: l’abolizione di questi contratti è l’unico passo da compiere per una società che vuole davvero puntare sulla formazione e sul capitale umano.