L’imperfezione, gli sbagli e la riflessione in Umane Traiettorie di Luisa Patta

Di Giada Marzocchi

La perfezione non è di questo mondo, eppure sembra che non ci sia altro obiettivo nella vita di tutti i giorni: quante volte abbiamo sentito pubblicità di applicazioni per modificare le foto e renderle un po’ più “instagrammabili”? O magari abbiamo sentito che gli errori  (siano essi gravi o meno gravi) sono una via senza ritorno, senza possibilità di cambiamento? E queste sono solo alcuni aspetti per cui la perfezione è diventata una bandiera sventolata dalla maggior parte delle persone che ne fanno la loro missione quotidiana. La letteratura (e meno male) ci insegna quanto la perfezione sia lontana dall’essere umano e quanto, soprattutto, sia l’imperfezione a essere interessante.

Una madre e una figlia sono un sistema binario che cammina su traiettorie parallele. Non si incontrano mai e per trovarsi, a volte, devono rischiare un deragliamento.

Ultimamente, da assidua lettrice, mi sono capitati volumi nei quali l’imperfezione umana è stata sviscerata in ogni suo aspetto: da quella fisica, a quella sociale fino a quella lavorativa. Tra questi, uno in particolare mi ha colpito perché, letto dopo il regalo di un’amica, si è rivelata una lettura colma di spunti di riflessioni: Umane traiettorie di Luisa Patta. È una raccolta di racconti -in totale diciassette-, nella quale l’autrice, attraverso ogni storia, ci racconta alcuni spiragli di vita dei singoli personaggi. Sì, perché ogni racconto ha il suo protagonista, che è descritto in un momento particolare della sua vita e nel quale il lettore è catapultato. È come se l’autrice aprisse per caso una finestra e cogliesse proprio quell’attimo, quel preciso istante. Se a una prima occhiata potrà sembrare un approccio superficiale, in realtà basterà iniziare la lettura e immergersi nel primo capitolo, per comprenderne tutti i significati nascosti o pensati dal protagonista. La dimensione è, dunque, quella del racconto breve (in certi casi brevissimo) che, in poche battute, delinea la situazione, il personaggio e il contesto in cui si muove.

Quando ho iniziato ad avere paura di incrociare un uomo, mentre corro da sola in campagna? Quand’è che ho cominciato ad avere bisogno di vedere qualcuno in lontananza, uno sguardo inconsapevolmente testimone di un pericolo incalcolabile? Non lo so, davvero non saprei dirlo.

Sono diciassette racconti e diciassette vite che non hanno niente in comune se non l’errore e l’imperfezione: protagonisti semplici che riescono a rappresentare bene la “nostra” normalità e nel quale ognuno di noi si potrà riconoscere e magari anche ritrovarsi. Dal figlio che cerca, almeno nei ritagli di tempo lavorativi, di accudire la madre malata di Alzheimer, alla mamma che si sente in colpa perché, lavorando, sente di trascurare i figli, alla precarietà lavorativa, al galeotto che non è rieducato in carcere e, ancora, alla malattia mentale, ai complessi fisici e ai sogni infranti, Luisa Patta dimostra di avere un occhio sociale attento e arguto, trasmettendo, non solo quegli attimi di fragilità, ma anche i loro pensieri, i retroscena e le aspettative future. E nel farlo, allarga la questione ai macro temi che oggi vivacizzano il dibattito sociale: dalla pressione lavorativa, ai modelli estetici frutto di programmi e applicazioni e, alla fine, a un’intera società che pretende standard sempre più alti e impossibili da raggiungere, portando dunque a farci sentire sbagliati (se non sempre, almeno in qualche momento). Ed è qui un altro tema cruciale di questo volume: lo sbaglio non deve essere una croce, non deve diventare una “lettera scarlatta” con la quale farci etichettare, ma diventa uno spunto di riflessione, come del resto ogni protagonista fa. Se questi non hanno in comune niente nelle loro vite, è nell’atteggiamento verso di essa che sembrano tutti fratelli: un atteggiamento riflessivo ma non arrendevole che li porta a interrogarsi su loro stessi.

Ed è per questo motivo che Umane Traiettorie non è una semplice e banale raccolta di racconti, ma diventa un affresco dei nostri tempi; tempi nei quali viviamo e lavoriamo, dando forse anche l’opportunità di chiederci: è così grave l’imperfezione?

Fugge dalla perfezione inscalfibile, dal suo punto certo nel mondo, dalla sua paura di graffiare la superficie e andare a fondo.