La teoria crip di McRuer arriva in Italia, per un futuro disabile e queer

Di Sofia Brizo

L’uscita della traduzione italiana di Teoria Crip. Segni culturali di queerness e disabilità (Odoya, 432pp, tradotto da Vale Baldioli, Matu d’Epifanio e Beatrice Gusmano) segna un momento chiave per gli studi della disabilità in Italia e fornisce strumenti per costruire un futuro disabile e queer. 

 

Quando ho iniziato a leggere la traduzione italiana di Teoria Crip di Robert McRuer, avevo in corso un altro saggio sulla disabilità (The future is disabled: Prophecies, love notes and mourning songs di Leah Lakshmi Piepzna-Samarasinha) che ho immediatamente riconosciuto come in un certo senso figlio delle teorie di McRuer. Una frase di questo saggio in particolare mi ha fatto pensare a McRuer: 

“Noi persone disabili sogniamo tanto. Sogniamo negli ospedali psichiatrici, sogniamo amici morti, sogniamo di andarcene da casa dei nostri genitori dopo 645 giorni di reclusione nella pandemia, sogniamo amanti che ci diano affetto sordo, autistico e disabile. … Andiamo a dormire tutte le sere e sogniamo giustizia per le persone disabili. E continueremo a sognare questi sogni di giustizia, giorno e notte, finché la incontreremo.” [Traduzione mia]

Può sembrare strano iniziare una recensione di un libro con un estratto di un altro libro, ma è proprio qui che voglio andare a parare. Originariamente pubblicato nel 2006 dalla New York University Press, Teoria Crip è ancora attuale e genera eco a distanza di quasi vent’anni, dando origine a riflessioni sempre più ampie sulle identità marginalizzate nel mondo contemporaneo. Nella sua opera più impattante, McRuer ci spinge a sradicare un sistema di oppressione proponendo una lucida analisi di vari media in relazione alla disabilità e ai corpi queer, teorizzando un futuro in cui ogni corpo queer è disabile e ogni corpo disabile è queer. Un futuro che continuiamo a sognare e che siamo sempre più vicin* a realizzare, oltre il capitalismo, oltre il razzismo, l’omofobia, l’abilismo, le politiche di esclusione. 

Attingendo a teorie femministe, queer e della disabilità, McRuer ci mostra come gli studi nel campo queer e disabile abbiano molto più in comune di quanto si pensi. Teoria Crip introduce molti concetti attraverso l’analisi di narrazioni mediatiche e letterarie, ricordandoci che il personale è politico e che le storie dei singoli sono ciò che dà forma ai diritti della collettività. Per questo Teoria Crip merita senza ombra di dubbio un posto d’onore tra i pochi libri fondamentali sugli studi della disabilità americani ad essere tradotti in Italiano: le storie e gli esempi riportati danno modo di allargare gli orizzonti e accedere a ulteriori fonti per approfondire gli argomenti che passano spesso in sordina e che non fanno ancora totalmente parte della cultura italiana della disabilità.

Si parla di diritti, come nell’esempio di Sharon Kowalski, alla quale, in seguito a un grave incidente stradale che la rende disabile, viene impedito di vivere con la sua compagna mettendo in discussione al tempo stesso la validità di una relazione queer e la capacità di intendere e di volere di una persona disabile. Si parla di malattia e masochismo, di identità e appartenenza. 

Nonostante i toni accademici, Teoria Crip è un abbraccio alla comunità queer e disabile che si regge su storie individuali ma comuni, uno sforzo tutto sommato accessibile di comprenderla a fondo ed evidenziare come la sua presenza continui a influenzare le dinamiche socioculturali e politiche. I parallelismi tra comunità crip (disabile) e comunità queer, diventano così evidenti attraverso una collettività di voci passate e presenti, come quella della storica queer Gloria Anzaldùa, di cui McRuer cita questo passaggio per spiegare la coesione tra diverse comunità marginalizzate:

“Siamo gruppi queer, persone che non appartengono a nessun posto, non al mondo dominante ma nemmeno completamente alle nostre culture rispettive. Insieme, copriamo così tante oppressioni. Ma l’oppressione che ci schiaccia è la constatazione collettiva che non ci adeguiamo e, poiché non ci adeguiamo, siamo una minaccia.”

Soprattutto, Teoria Crip pone una miriade di domande riguardo a ciò che McRuer chiama “corporeità abile obbligatoria” e eterosessualità obbligatoria, un sistema di oppressione che accomuna persone disabili e persone queer, che “richiede costantemente che le persone disabili incarnino per altre una risposta alla domanda inespressa: «Sì, ma alla fine, non preferiresti essere più simile a me?»”.

La maggior parte di queste domande –  cosa significa davvero un futuro disabile? Cosa significa costruire un mondo pronto ad accogliere quella che McRuer chiama ‘disabilità a venire? – rimane senza risposta, ma costituisce le fondamenta per quel futuro disabile a cui accennavo all’inizio: un futuro che va oltre l’ovvietà della disabilità come condizione universale e la trasforma invece in un mezzo di democrazia collettiva. 

Infine, la traduzione di Teoria Crip merita a parer mio una nota a sé. Lo sforzo di trasportare in italiano la moltitudine di identità intersezionali tipiche del contesto statunitense di cui McRuer scrive implica un margine di errore significativo, perché non tutti i termini sono traducibili in italiano e non tutti i riferimenti sono culturalmente comprensibili a un pubblico italiano. Lungi dall’essere un tratto negativo, questo margine di errore ci ricorda che la traduzione può e deve essere un’attività collettiva, che la traduzione è dialogo e soprattutto attivismo. In questo caso, l* traduttor* adottano chiaramente un posizionamento femminista e queer che pone l’accento sull’autodeterminazione attraverso l’uso di termini come queer e crip che vengono rivendicati nella loro forma originale inglese. 

Dalla prima all’ultima pagina, traduzione inclusa, Teoria Crip ci costringe a mettere in discussione le nostre certezze su ciò che è normale, sulle diverse sfaccettature dell’umano, se un corpo normale possa davvero esistere e su quanto siamo noi stessi disposti ad accettare la possibilità di non essere mai stati e non poter mai essere ‘normali’.