Il volto femminile della storia

Di Caterina Frusteri Chiacchiera

A Minsk e in tutta la Bielorussia continuano, quasi quotidianamente, i cortei di opposizione a quella che viene definita “l’ultima dittatura europea”, il regime di Lukashenko, presidente da 26 anni, al suo sesto mandato.
Su ogni canale mediatico rimbalzano le notizie delle violenze inflitte alle migliaia di manifestanti arrestati, mentre le agenzie internazionali denunciano la campagna di torture di massa, attuata dalla macchina di governo.

Tra i manifestanti, spiccano soprattutto le donne, che, formando catene di solidarietà, si sono riversate nelle strade, vestite di bianco e con fiori in mano.

Simbolo del movimento di protesta è diventata Nina Bahinskaja, 73 anni, più volte arrestata, mentre sfilava per le strade di Minsk.
Le immagini in cui i militari la trascinano, strattonandola, in una camionetta blindata, strappandole di mano i fiori e la bandiera bielorussa bianca e rossa dell’era pre-sovietica, hanno fatto il giro del Mondo.
Dopo ogni arresto, Nina Bahinskaja è sempre tornata a manifestare, insieme alle altre donne, e a invocare uno stato di legalità e il rispetto dei diritti umani e civili.

Sui media internazionali, la rivolta bielorussa aveva già assunto il volto di donna sin dai mesi precedenti le dimostrazioni pubbliche, dal momento del sequestro del quadro “Eva”, dell’artista Chaim Soutine, confiscato, insieme ad altri beni, a Viktor Babaryko, arrestato in quanto oppositore di governo.
La sottrazione di “Eva” alla galleria d’arte in cui era esposta, e la sua preclusione al pubblico, è stata vissuta come un vero “sequestro” da parte della popolazione, che ne ha simbolicamente rivendicato la libertà.

E volto di donna è anche quello delle candidate che hanno sfidato congiuntamente Lukashenko nelle ultime elezioni: Svetlana Tikhanovskaya, candidata ufficiale, e moglie di un dissidente politico arrestato, Veronica Tsepkalo, IT manager e Maria Kolesnikova, musicista e art manager; le prime due fuggite all’estero per sottrarsi alle minacce di morte, l’ultima arrestata dopo aver fatto a pezzi il proprio passaporto al confine con l’Ucraina, rifiutandosi di essere costretta all’esilio.

Anche senza leader che le mobilitino donne di età ed estrazioni sociali diverse continuano a scendere in piazza, rispondendo alla violenza di regime con cortei pacifici.

Le notizie provenienti dalla Bielorussia mettono in luce il protagonismo attivo dalle donne nella rivendicazione dei diritti sociali, e portando ad indagare, e soprattutto, a recuperare, il ruolo femminile svolto durante il corso storico.

In ogni epoca, in ogni angolo del globo, le donne si sono mobilitate per chiedere diritti, giustizia, uguaglianza, accesso alle risorse, legalità…
Le donne hanno sempre affermato la loro presenza sul piano politico e sociale, facendosi promotrici di istanze di cambiamento, dalla Marcia su Versailles delle donne dei mercati di Parigi, che reclamavano pane e generi alimentari a prezzi accessibili, alle diverse fasi della Rivoluzione Americana, alle lotte per il suffragio universale, alle proteste di liberazione degli anni ’60-’70, all’attivismo delle Madri di Plaza de Mayo, che da decenni chiedono di sapere cos’è accaduto ai loro figli, vittime della dittatura militare argentina, fino alle donne indigene dell’Ecuador, Perù, Venezuela, Bolivia, Brasile che cercano di difendere le loro terre dalla deforestazione e dallo sfruttamento delle grandi compagnie commerciali.

In India e Sudafrica, le donne si sono mobilitate per protestare contro i sistematici abusi sessuali di cui sono spesso vittime. 

In Arabia Saudita, è stato finalmente concesso alle donne il diritto di guidare un veicolo, in seguito alle azioni di rivendicazione di coloro che, per mettersi alla guida, hanno subito arresti, intimidazioni e stigmatizzazione sociale.

In Argentina, Irlanda e Polonia, le donne hanno partecipato a manifestazioni di massa contro leggi conservatrici che tentavano di abrogare l’aborto. 

Nel nord-est della Nigeria, migliaia di donne sfollate si sono mobilitate, denunciando gli abusi subìti dai combattenti di Boko haram e dalle forze di sicurezza nigeriane.

E ancora, ricordiamo la recente campagna #WhereIsMyName, che ha visto le donne afgane impegnate contro l’usanza, e legge, di essere chiamate “moglie di”, “figlia di”, “madre di”, sia in pubblico, sia sui documenti ufficiali.

Oppure pensiamo alla Women’s March, che da Washington, attraverso una call internazionale, ha fatto scendere in piazza milioni di persone in tutto il mondo a manifestare contro il governo Trump.

Citiamo poi il movimento di protesta contro il sistema politico iracheno, che ha assunto lo slogan “la rivoluzione è femmina”, e che ha visto, negli ultimi mesi, migliaia di donne scendere in strada contro l’élite politica corrotta, reclamando il diritto di manifestare insieme agli uomini.Opponendosi a al-Sadr, influente uomo religioso sciita, che chiedeva una separazione di genere nei cortei, in molti degli striscioni nelle strade era presente una scritta eloquente: “I can’t believe i’m still protesting this shit”.

E oltre: menzioniamo il movimento delle “Donne per la Pace”, il Women Wage Peace, che nel 2016 ha organizzato la “Marcia della Speranza”, in cui migliaia di donne ebree, arabe, musulmane e cristiane hanno camminato insieme, attraversando Israele, richiedendo l’apertura dei trattati di pace in quei territori.
A unirle, il desiderio di una convivenza possibile, invocando, ognuna secondo la propria tradizione e cultura, il canto la “Preghiera delle Madri”.
Per sostenerle era presente Leymah Gbowee, pacifista liberiana, promotrice del movimento femminile Women of Liberia Mass Action for Peace, Nobel per la pace nel 2011 per aver contribuito, insieme alla presidentessa del Paese Ellen Johnson Sirleaf, alla riconciliazione del suo paese.

Superando le divisioni religiose ed etniche, Leymah, insieme a migliaia di donne di diverse fedi, ha tenuto per mesi manifestazioni quotidiane, recitando preghiere musulmane e cristiane, e attirando l’attenzione dei media locali ed internazionali.
Le donne hanno preteso di essere ricevute dal presidente Charles Taylor, strappandogli l’impegno ad aprire un dialogo con i ribelli del Liberians United for Reconciliation and Democracy e il Movement for Democracy in Liberia. 
Durante tutto il tempo delle trattative di pace, Leymah Gbowee ha guidato il movimento in una protesta silenziosa. Le pressioni esercitate dalle donne hanno contribuito, nel 2003, a porre fine alla seconda guerra civile in Liberia.

È sicuramente doveroso ricordare le combattenti curde (e non solo) dell’Unità di Protezione delle Donne, un’organizzazione in prima linea nelle battaglie contro l’Isis.

E veniamo ora all’opposizione contro le dittature europee del ‘900, che vide le donne protagoniste a tutti i livelli.

La partecipazione delle donne si rivelò determinante in Portogallo, durante la Rivoluzione dei Garofani (25 aprile 1974), dove oltre a regalare fiori ai militari insorti contro il dittatore António Salazar, furono presenti attivamente nei processi di ricostruzione del paese, nelle occupazioni delle case e nelle fabbriche.

Andando più indietro nel tempo, troviamo la protesta non violenta di Rosenstrasse, a Berlino, che nel marzo del 1943, vide le mogli non ebree di uomini di religione ebraica deportati nei campi di concentramento, opporsi al sistema nazista, ottenendone la loro liberazione.

Che dire, poi, del grande dibattito italiano sulla “vera resistenza”, ritenuta solo quella armata, e dunque di appannaggio prettamente maschile? L’identificazione totale della resistenza con la lotta armata ha così escluso dall’orizzonte, sia storiografico che di memoria collettiva, l’indiscutibile contributo che diedero le donne nel combattere contro il nazi-fascismo.

Per citare Carla Nespolo, politica e attivista italiana, presidentessa dell’Anpi, scomparsa da qualche giorno “Senza le donne non sarebbe stato possibile fare la Resistenza”, in Italia, come altrove. 

Le donne sono state protagoniste di primo piano anche durante la Guerra Civile Spagnola; soltanto per fare un esempio, citiamo l’anarcosindacalismo del movimento Mujeres Libres.

L’8 marzo del 1917, invece, a San Pietroburgo, la grande manifestazione delle donne guidò la protesta per la fine della guerra, inaugurando la fine del sistema zarista.
E potremmo andare oltre: abbiamo citato solo alcuni momenti, consapevoli di non essere state esaustive.

Rispetto al passato, i fatti di attualità, dalla Bielorussia, al #WhereIsMyName, alla Women’s March e oltre, mostrano come le donne si stiano appropriando in maniera sempre più consapevole dei mezzi mediatici, per affermare il loro ruolo sociale e politico; ruolo troppo spesso disconosciuto, taciuto e occultato, più o meno coscientemente.

Infatti, nonostante i troppi silenzi dei libri e dei riconoscimenti ufficiali, le donne hanno fatto, e fanno, la Storia.Una Storia che, traslando le parole a Nina Bahinskaja “sta camminando!”, anzi, è in cammino da sempre.