Notte dei Morticini: storie di migrazione tra mondi

Di Caterina Frusteri Chiacchiera

È la notte del 1 novembre. Io ho 6 o 7 anni. Sono eccitatissima: ‘sta notte verranno a trovarmi i Morticini. Prima di andare a letto, insieme ai miei genitori e alla mia sorellina abbiamo preparato l’acqua e il pane: così i miei defunti, le mie nonne, che non ho mai conosciuto, la mia bisnonna, morta da poco, e altri cari parenti, potranno ristorarsi dopo il lungo viaggio.

Non so se riuscirò a dormire. Sono elettrizzata. Domani cercheremo per tutta la casa i doni che ci hanno portato: l’anno scorso, era stata una lavagnetta gialla a forma di elefante con tanti gessetti colorati e dei dolcetti. 
Io amo scrivere, disegnare e colorare: come mi conoscono bene i miei Morticini!

E quest’anno, cosa arriverà?

A differenza di Santa Lucia, che tradizionalmente porta i regali ai bambini del Nord, o a Babbo Natale, i Morticini non ricevono letterine: non hanno bisogno di ordinazioni o consigli per gli acquisti, sanno già quello che è meglio regalare.

Ad ogni modo, né a me né a mia sorella interessa davvero avere dei giocattoli. 
I Morticini sono molto altro. Sono l’euforia dell’attesa, sono percepire mio padre e mia madre vulnerabili per il dolore della perdita e della distanza, sono una benedizione che arriva da un luogo lontano, ma vicinissimo, sono un legame speciale con le origini, un momento che ci fa sentire parte della nostra famiglia, nonostante i chilometri di distanza.

Domani chiameremo i cuginetti, ci racconteremo di ciò che abbiamo ricevuto; i “grandi” si descriveranno delle loro visite al cimitero del paese, e porteranno dei fiori sulle tombe dei nostri cari anche da parte nostra…

La Festa dei Morticini è una delle più sentite in Sicilia. È un evento caratterizzato da gioia: finalmente si realizza il ricongiungimento con i propri parenti morti.
L’origine di questa ricorrenza si rifà ai culti pagani delle celebrazioni per l’arrivo dell’inverno, ed è legata alla simbologia delle luci e delle ombre.
Innumerevoli sono i riferimenti storici, antropologici e mitologici.

È una notte magica, dove tutto è possibile, dove visibile e invisibile si sfiorano, che porta con sé il senso del sacro e della compenetrazione tra i piani del reale: come nei romanzi sudamericani di realismo magico, in questa notte svaniranno, per un po’, i confini tra i diversi mondi.

Come spiegare ai miei amichetti, che mi sentono raccontare dei Morticini, che non c’è nulla di macabro, nulla da aver paura? 
Già, perché nonostante il rispetto delle tradizioni e delle usanze, io non vivo in Sicilia, ma a Bergamo.

Sono gli anni ’80: ancora Halloween non è diventata la festa commerciale che spopola in tutto il mondo, come la conosciamo adesso; non è uscito Coco della Disney – Pixar; io sono troppo piccola e non conosco la tradizione del Día de muertos diffusa in Sud America, in particolare in Messico, né ho già conosciuto Frida Kahlo, con il suo scheletro sul letto (e non so ancora che quando la incontrerò, nei suoi quadri, nei suoi scritti, nelle sue immagini, la mia vita ne sarà totalmente trasformata; non so ancora che Frida, con il suo orgoglio per il suo volto da india e le sue sopracciglia marcate, mi aiuterà a guardarmi allo specchio e a trovare nei miei capelli scuri e nelle mie sopracciglia folte tracce della mia storia, di cui andare anch’ io fiera).

La maggior parte dei miei compagni mi ascolta con espressioni di terrore e corre dalle loro madri urlando: a Caterina la vanno a trovare i morti!
Qualche mamma ha chiesto alla mia di parlarmi, per pregarmi di evitare di raccontare storie inquietanti ai loro figli.

Sono sempre gli anni ’80 e sembra che i bambini siano più al sicuro dall’esposizione continua alle “narrazioni forti” proposte dai social di oggi.
Ma, segnale importante di scambio, di incontro e di partecipazione, alcuni genitori decidono invece di adottare questa tradizione all’interno delle loro famiglie. 
Quanto è stato importante questo gesto, ripensandoci adesso, da grande, in un mondo, come quello attuale, caratterizzato da barriere, chiusura al diverso, irrigidimento identitario…

Perché credo che, per me, la festa dei Morticini abbia rappresentato, sin da quando ero bambina, anche una metafora del viaggio, del mutamento, dell’attraversamento esistenziale delle frontiere; condizione che, in quanto figlia di immigrati che hanno lasciato i loro paesi per una vita più promettente al Nord, mi è sempre stata intimamente nota.

I Morticini, infatti, superano i limes dei diversi regni, generando un senso di vicinanza e contatto anche tra dimensioni credute ontologicamente in opposizione.

Così, anche io mi sentivo più vicina alla mia famiglia in Sicilia, ma anche ai quegli amichetti bergamaschi le cui famiglie avevano accettato di accogliere all’interno della loro quotidianità questa festa, aiutandomi a condividere il mio senso d’identità anche nella realtà che mi accoglieva.

Molti anni dopo, sento ancora la magia di questa notte luminosa, mentre preparo i regali per la mia nipotina di due anni, Agata, figlia di mia sorella, che porta il nome del nostro paese di origine.
Oggi la mia espressione è più simile alla dolce commozione che leggevo nel volto di mia madre e mio padre: molte altre persone care si sono unite ai miei Morticini, alcuni lutti sono recenti, e portano con sé un dolore ancora vivo.
Sorrido dentro di me, nell’attesa dei doni che mi verranno portati anche quest’anno: il ricordo di chi sono e da dove vengo. Doni che ora sarà mio compito condividere con Agata.

Ora come allora, tutto ciò non ha nulla a che fare con l’appartenenza religiosa, ma con l’appartenenza, in generale…

E sorrido ancor di più, pensando a tutte le mie incredibili antenate che costantemente richiamo con mia madre, quando insieme, nei cerchi di donne, rievochiamo la nostra genealogia femminile.
In questa notte, verranno tutte a rinnovarmi la loro benedizione. E io, eccitata come quando ero piccola, sono pronta ad accoglierle.