Intervenire durante una molestia. Come?

Di Elisa Belotti

Le molestie in luoghi pubblici sono un problema che riguarda troppe persone e, in particolare, le donne. Ecco perché ho scelto di usare il femminile qui quando parlo delle vittime, pur sapendo che sono anche altri i generi coinvolti.
Le molestie possono essere di diverso tipo – verbali, non verbali (segni, gesti) e fisiche – ma hanno tutte delle conseguenze su chi le subisce.
Innanzitutto di tipo psicologico e relativo alla salute mentale: ansia, depressione, stress post traumatico. Poi sociali e finanziarie: limitazione della mobilità, licenziamento, abbandono della scuola o del lavoro. Infine a livello comunitario incidono sulla qualità della vita. 

Un recente sondaggio di Sted.world – che ha realizzato anche l’immagine qui sotto– ha raccolto centinaia di testimonianze a riguardo, tutte visibili sul suo sito web, all’interno del progetto Storie di altrə.

C’è chi dopo una molestia non è uscita di casa per due mesi, chi si è sentita sporca, in imbarazzo, chi ha avuto paura.
Alcune donne hanno usato parole molto forti, come “insudiciata, violata, sbagliata, impotente”. Si ha paura a rispondere e ci si sente disarmate.
Una donna in particolare ha scritto: “Quando esco voglio essere libera, non coraggiosa”.

Proprio da qui vorrei partire perché le molestie nei luoghi pubblici sono estremamente frequenti non solo per chi le subisce, ma anche per chi ne è testimone. E puntare sui testimoni e sul loro intervento può essere una strategia per fermare gli abusi in corso e infliggere un colpo alla cultura dello stupro. Se chi si ritrova a osservare una molestia prende posizione, la vittima si sentirà meno sola, più tutelata e il muro della vergogna che circonda la cultura dello stupro inizierà pian piano a sgretolarsi.

Come intervenire? Lo spiega Stand Up, il programma di formazione che si occupa proprio di molestie nei luoghi pubblici. Quando si assiste a questi eventi spesso non si sa come intervenire. Stand Up dà quindi degli strumenti concreti per agire in sicurezza e nella tutela della vittima. Grazie ai suoi interventi di formazione è riuscito a raggiungere più di 100 mila persone, tra attività interattive sul sito web e webinar, cui ci si può iscrivere gratuitamente e che restano attivi fino al 12 dicembre.

Io ho partecipato a uno di questi eventi formativi e ora vi racconto ciò che ho imparato. Il metodo proposto per l’intervento dei testimoni è chiamato “delle 5D”, cinque opzioni per distogliere l’attenzione del molestatore dalla vittima e porla in sicurezza.

1. Distrarre: creare un diversivo, adottare un approccio indiretto per ridimensionare la situazione. Si può iniziare una conversazione, con la vittima o il molestatore, o attirare l’attenzione in qualche modo. Ad esempio si può chiedere un’informazione stradale, l’ora o dove si trova un determinato luogo. Oppure, se si è sui mezzi pubblici, far cadere un oggetto proprio davanti alle persone coinvolte, in modo da distrarle.

2. Delegare: appoggiarsi a un’altra persona, cui si chiede sostegno. Significa trovare un individuo con autorità, come un membro della polizia, un’insegnante o chi guida l’autobus, e chiedere di intervenire. Più persone notano la molestia in corso, più la vittima sentirà che la sua percezione della situazione non è sbagliata o falsata. Poi si può verificare se la persona che ha subito la molestia vuole o meno chiamare la polizia, ricordandosi che non è obbligata a denunciare o a esporsi.

3. Documentare. Se si sceglie questa strategia, è fondamentale ricordarsi che in Italia non è possibile fare foto o video senza il consenso di chi viene ritratto/a. Quindi si può ricorrere ad appuntarsi i dati per iscritto, mantenendo la distanza di sicurezza e includendo data e ora, segnali stradali o altri punti di riferimento che aiutano a identificare il luogo.

4. Dare sostegno: dopo l’accaduto confortare la vittima, in modo più o meno diretto. La si può sostenere con uno sguardo o un cenno da lontano, oppure sedersi accanto a lei e chiederle come stia o se voglia essere accompagnata da qualche parte. Dare sostegno significa in sostanza non lasciare da sola la persona molestata, mostrarle che non è responsabile dell’avvenimento e non ha reagito in modo sbagliato. Spesso, infatti, si viene colte alla sprovvista e non si sa come rispondere, ma non esiste una reazione perfetta. Ogni persona molestata risponde a proprio modo e ha bisogno di essere sostenuta anche in questo.

5. Dire: rivolgersi al molestatore in modo breve, conciso e dando un nome alla situazione. Ad esempio si può dire “Non vedi che le stai dando fastidio?” o “Questo comportamento è inappropriato”. È importante poi dare attenzione alla vittima per sapere se sta bene e se vuole aiuto.

Quando si è testimoni si può quindi prendere posizione. Chi osserva una molestia è in grado di identificare il fatto restando in sicurezza e poi decidere quale delle 5D usare in relazione alla situazione e al proprio modo di fare. Il programma Stand Up fa parte di una rete più ampia creata da Hollaback!, l’ONG che lavora in tutto il mondo per contrastare le molestie nei luoghi pubblici. Sul suo sito si trovano numerosi eventi di formazione e risorse per informarsi sulla cultura dello stupro.

È vero, quando si assiste a una molestia si ha paura. Paura di peggiorare o di non cambiare la situazione, di mettersi in pericolo, di esporsi quando nessun altro fa nulla. Con questi strumenti, però, è possibile scegliere con più consapevolezza come intervenire. Per contrastare la cultura dello stupro si può partire dalle piccole cose.