Niki de Saint Phalle, eroina dei tempi moderni

Di Alessia Mammino

Dal prossimo 9 luglio un filo rosso immaginario, lungo migliaia di chilometri, legherà il comune toscano di Capalbio alla città metropolitana di New York per celebrare una tra le artiste più visionarie del XX secolo: la franco-statunitense Niki de Saint Phalle (Neuilly-sur-Seine, 1930 – San Diego, 2002), che nel cuore della Maremma toscana ha dato vita ad un sogno, il parco di sculture noto come Giardino dei Tarocchi.
Nel territorio di Capalbio, dal borgo antico al Giardino dei Tarocchi, avrà infatti luogo una mostra diffusa (Il luogo dei sogni – Il Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle, 9 luglio – 3 novembre 2021) che ripercorrerà la carriera artistica di Niki e il suo rapporto con l’Italia , svolgendosi per un paio di mesi in contemporanea alla retrospettiva già in corso al MoMA PS1 di New York (Niki de Saint Phalle: Structures for Life, 11 marzo- 6 settembre 2021).

Corporatura esile, temperamento ribelle e un concentrato di energia e determinazione, Niki de Saint Phalle deve la sua fama internazionale all’ingente produzione artistica che inneggia all’emancipazione femminile e affronta altre tematiche di scottante attualità, come le discriminazioni razziali e i conflitti politici, conservando una forza comunicativa senza pari, tutt’ora in grado di porre interrogativi e innescare riflessioni. Dalla seconda metà del Novecento alla fine dei suoi giorni, Niki ha reso la sua arte uno strumento di denuncia ad ampio spettro, lasciandoci un’eredità unica costituita da disegni, pitture, sculture, film, scritti, gioielli e persino una linea di profumi.

Da autodidatta, decise di consacrare la propria vita all’arte nel 1953, quando, costretta al ricovero per esaurimento nervoso presso un ospedale psichiatrico di Nizza, scoprì il potere terapeutico della pittura. Componendo i primi quadri-collage materici, vicini all’esperienza surrealista e spesso incentrati su figure femminili, calmava il suo caos interiore, addomesticava i suoi “dragoni”, come confessò nell’autobiografia Mon secret.
Nel 1960, in piena fase sperimentativa, con la carabina procuratale dallo scultore svizzero e futuro marito Jean Tinguely, iniziò a sparare su assemblaggi materici di gesso che celavano contenitori di vernice colorata. I colpi provocavano violente esplosioni variopinte che fissavano il colore sul bianco del gesso, generando l’opera d’arte a partire da un atto distruttivo. Nacquero così i Tiri, rilievi-bersaglio con cui Niki conquistò l’attenzione mediatica e quella del critico Pierre Restany, il quale nel 1961 la introdusse, come unica donna, fra i rappresentanti del Nouveau Réalisme, un eterogeneo gruppo artistico intento a presentare – e non più a riprodurre –  la realtà utilizzando provocatoriamente oggetti d’uso comune, soprattutto scarti della società di massa.
Mirando ai suoi assemblaggi, Niki sparava metaforicamente contro il dominio maschile sulla sfera pubblica e privata. Fra i suoi bersagli vi era quindi la tradizione artistica occidentale, le cui tele per secoli avevano rappresentato corpi femminili oggettificati. Sparava anche contro la Chiesa, i conflitti in atto come la “guerra fredda” e la guerra d’Algeria, la proliferazione delle armi nucleari, il patriarcato e, in un dramma tutto privato, il padre che a undici anni aveva abusato di lei ed entrambi i genitori, che, come sosteneva, l’avevano cresciuta “per il mercato del matrimonio”. Immaginava di sparare anche contro se stessa per assistere alla propria rinascita. Questi violenti gesti catartici e al  contempo provocazioni ludiche diventarono veri e propri happening, azioni artistiche durante le quali era talvolta data al pubblico la possibilità di sparare, non solo di assistere.

L’arma di Niki diventò quindi uno strumento simbolico di denuncia sociale, esattamente come la mitragliatrice che imbraccerà l’artista austriaca Valie Export nel 1968 irrompendo nel cinema di Monaco con i genitali audacemente scoperti (puoi approfondire qui: Genital panic: vulva e vagina, cosa c’entrano con l’arte? Parte seconda).

A partire dal 1963, dopo aver addomesticato la rabbia a colpi di arma da fuoco, le figurazioni femminili divennero il suo soggetto prediletto. In un primo momento oggetti di scarto composti in inquietanti assemblaggi ritrassero spose e partorienti.  Erano donne mostruose, riflesso dell’insofferenza per la posizione di subalternità impostale dalla società in quanto donna, ma, come i Tiri, erano il segno di una femminilità ritrovata capace finalmente di urlare a gran voce.
Dal 1965 questo ideale di femminilità esplose nella produzione più nota dell’artista:le sculture policrome intitolate Nanas, cioè “ragazze” in francese. Le ragazze erano pronte a prendere il potere, il “Nana Power”!

Le Nanas, dai toni squillanti e a grandezza naturale, raffigurano donne opulente come le veneri preistoriche, archetipi di fertilità e maternità. Il seno, il sesso, il ventre e i glutei sono infatti particolarmente enfatizzati, mentre la testa è più piccola ed appena abbozzata, come le mani e i piedi. Ma, tutt’altro che statiche e passive, nonostante i volumi gonfi, sono in grado di danzare con leggiadria, gioiose, libere e trionfanti. Alcune possiedono anche ali per librarsi in alto. I loro corpi sono dei colori più disparati, dal giallo al rosa al blu e persino al nero, per evocare il Black Power.
Espressione di una femminilità generatrice contemporanea, si ribellano alle convenzioni e ai canoni estetici gravanti sul corpo femminile e sostengono le istanze libertarie del movimento femminista.
Niki non militò mai nei movimenti femministi, ma lungo la sua carriera artistica le Nana le fecero da portavoce, scendendo letteralmente in piazza per invadere musei e spazi pubblici di tutto il mondo, dove alcune trionfano tutt’ora, come la Nana alata sospesa in volo presso la  stazione centrale di Zurigo.

La sua personale critica alla dominante cultura maschilista passò così attraverso un femminile positivo, un nuovo compromesso tra l’aspetto provocatoriamente giocoso e le inquietudini private e sociali che esso celava.
Negli anni le Nanas assunsero dimensioni sempre più monumentali, rendendo Niki una delle prime scultrici a lavorare su grande scala e a lasciare il segno nello spazio pubblico.

La Nana che per prima superò la grandezza naturale fu Hon, “Lei” in svedese, realizzata nel 1966 al Moderna Museet di Stoccolma. Era una coloratissima Nana incinta e transitabile: attraversando la sua vagina-porta il pubblico del museo poteva visitare il cinema, il planetario, la galleria d’arte e il bar installati all’interno del suo corpo. Uscendo si poteva sperimentare una sorta di rinascita.

L’elemento femminile e materno, rappresentato da figure opulente e vitali, è dominante nel progetto più impegnativo e affascinante di Niki, il citato Giardino dei Tarocchi. Ispirata dallo spagnolo Parc Güell di Gaudì e dal Parco dei Mostri a Bomarzo (in provincia di Viterbo), Niki ideò le 22 ciclopiche sculture del parco dedicate agli Arcani Maggiori dei Tarocchi, le immaginò lungo una sorta di giocoso percorso iniziatico immerso nella natura e le realizzò in situ tra il 1978 e il 1998, con la preziosa collaborazione di operai, artigiani ed artisti. Tra essi l’amato Tinguely, autore di meccanismi cinetici in ferro e delle strutture metalliche degli Arcani. Le sculture, alte dai 12 ai 15 metri, sono rivestite di coloratissimi mosaici a specchio, vetri pregiati e ceramiche, che scintillano sotto il sole e riflettono il paesaggio circostante, donando all’insieme un’atmosfera magica. Alcune di esse sono percorribili internamente e in qualche caso addirittura ammobiliate, come l’Imperatrice, una Grande Madre a forma di Sfinge dai seni prosperosi, entro cui Niki visse per lunghi periodi durante la ventennale costruzione del Giardino.
Non solo parco di sculture, quindi, ma opera d’arte totale in cui scultura, pittura, architettura, artigianato e meccanica si fondono tra loro e con la natura circostante per regalare ai visitatori una pausa dal mondo reale, una gioia per gli occhi e per il cuore.

Nel 2002, quattro anni dopo la realizzazione di questo sogno, Niki ha lasciato questo mondo. Un mondo che con amore e tenacia ha popolato di eroiche presenze femminili con la missione di affrancare le donne. Lei stessa amava definirsi “eroina”, un’eroina dei tempi moderni, libera e non più vittima delle convenzioni sociali.

Per saperne di più sulla figura di Niki de Saint Phalle puoi ascoltare la puntata Niki de Saint Phalle: “Nana Power”,  il potere alle ragazze! del podcast Le donne della porta accanto, in collaborazione con Radio Statale. Ne parliamo con un’ospite speciale, Lorenza Pieri, autrice del romanzo Il giardino dei mostri, che ruota intorno alla vicenda artistica ed umana di Niki e alla costruzione del magico Giardino dei Tarocchi (clicca qui!).