L'(in)sanabile femminicidio della letteratura italiana

Nei programmi scolastici e nel canone tradizionale della letteratura italiana le donne sono sempre state praticamente assenti. Ma forse qualcosa sta cambiando.

Di Elena Esposto

In otto anni di formazione di stampo umanistico non mi sono mai imbattuta in una scrittrice o poeta italiana. Mai. Giuro.

In tante ore di lezione sulla letteratura italiana, tra i vari Alessandro Manzoni, Giacomo Leopardi, Ugo Foscolo, Eugenio Montale, Primo Levi e Italo Calvino (tutti autori encomiabili, intendiamoci) a nessun* de* mie* docenti è mai venuto in mente di inserire, chessò, Sibilla Aleramo, Goliarda Sapienza, Elsa Morante, Alda Merini o magari Grazia Deledda, che ha vinto anche un Nobel. E scusate se è poco.

In qualsiasi esame (o corso) sulla letteratura italiana dal ‘200 ai giorni nostri le donne sono semplicemente non pervenute. I pochi nomi citati sopra (ce ne sarebbero moltissimi altri che ometto per ragioni di spazio) servono a ricordare che non è che di donne che hanno scritto (e scritto roba di qualità) non ce ne siano mai state, ma semplicemente il canone tradizionale non le ha volute includere.
Canone, inutile dirlo, che ha preso forma nella società patriarcale e dunque la riflette fedelmente.

Per il critico Vittorio Spinazzola l’ingresso trionfale nel canone, ovvero la “sanzione di classicità scolastica” è l’ultima fase della valorizzazione di un testo letterario, “l’approdo finale alla gloria letteraria”.
L’opera, infatti, una volta inserita nei manuali scolastici assume un carattere eterno di capolavoro indiscutibile e non soggetto a condizionamenti. Nessun* potrà più aprire bocca sul conto di quel testo se non per lodarlo.

Inevitabilmente la creazione di un canone implica una forma di scelta, di censura. Qualcosa verrà immortalato per sempre, qualcos’altro verrà lasciato cadere nel dimenticatoio.
Una scelta che anche se tendiamo a considerare sacra non è affatto neutra, ma è stata compiuta in un preciso contesto storico culturale.

Nello specifico, il canone tradizionale italiano così come lo studiamo ancora oggi a scuola, è stato codificato nell’800 dal Ministro della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia Francesco de Santis.

De Santis riprende la Storia della letteratura italiana di Girolamo Tiraboschi, la filtra, la depura e la riscrive a partire dalla sua visione del mondo che, manco a dirlo, non includeva le donne, o per lo meno non come autrici.
Quello che ne risulta, come scrive Federico Sanguineti in Per una nuova storia letteraria è un “femminicidio culturale” che potrebbe essere sanato solo riformando radicalmente ogni singolo grado dell’istruzione pubblica e privata, inclusa la ricerca accademica dal momento che sulle opere delle donne mancano non solo manuali scolastici, ma anche edizioni e saggi critici.

De Santis, insomma, esclude deliberatamente dalla Storia della letteratura italiana non le donne in generale, ma solo coloro che avevano contribuito a costruirla con la loro voce e le loro opere, dando invece risalto a quelle figure che finiscono per essere personagge feticizzate e disegnate a partire dallo sguardo maschile.
Ecco perché la nostra letteratura abbonda di Laure, di Beatrici e di Francesche e di Silvie, ma di Christine de Pizan e di Isotta Nogarola non parla nessuno. Ecco perché finiamo per conoscere le grandi intellettuali italiane come le madri, le mogli, le amanti o le dedicatarie di poesie di qualche loro collega maschio. Ecco perché la voce delle donne è completamente assente nella nostra storia letteraria.

La buona notizia però ci viene dai libri.
Negli ultimi anni sono apparsi sul mercato editoriale testi più o meno divulgativi che muovono qualche timido passo verso l’inclusione delle voci femminili.

Un esempio ci viene proprio dal volume di Sanguineti, edito nel 2022, un testo complesso e dettagliato, di livello universitario, che ha come obiettivo dichiarato quello di riscrivere la storia della letteratura italiana bilanciando perfettamente, al 50-50, autori e autrici. Il libro è pubblicato dalla casa editrice Argolibri, che nel 2020 ha pubblicato anche Tacete, o maschi, una splendida raccolta illustrata di componimenti di poete marchigiane del ‘300.

Nel panorama dei testi per le scuole secondarie invece è stato pubblicato alla fine del 2022 da Loerscher editorie Controcanone, un manuale curato da Johnny L. Bertolio che vuole promuovere un approccio inclusivo della letteratura e una cultura consapevole della parità di genere già sui banchi di scuola.

A dispetto del suo nome, Controcanone non vuole porsi in opposizione al canone tradizionale, ma proporsi come integrazione, includendo finalmente nei programmi scolastici le voci di grandi autrici italiane come Caterina da Siena, Vittoria Colonna, Maria Bellonci, Natalia Ginzburg, Anna Maria Ortese, Elena Ferrante e Igiaba Sciego, solo per citarne alcune.

Donne che con la loro scrittura hanno saputo non solo esprimere se stesse, ma anche raccontare la condizione di tante altre donne come loro e mettere in discussione le regole sociali del patriarcato che avrebbero preferito vederle con in mano un ago da ricamo piuttosto che una penna.
Donne che hanno rivendicato il loro diritto all’intelletto e agli studi e che si sono rifiutate di sottomettersi allo sguardo maschile.

Rimediare al “femminicidio culturale” denunciato da Sanguineti non è solo una questione di giustizia e di rivendicazione, ma anche di responsabilità verso le nuove generazioni, oggetto delle scelte pedagogiche.
Non possiamo illuderci che la totale assenza di autrici nei testi scolastici non abbia peso.
In primis perché così si verrà a formare l’idea che solo gli uomini possano scrivere opere degne di “gloria letteraria”. In secondo luogo; perché escludendo le donne si può offrire solo un punto di vista parziale della storia e delle storie.

Proprio in questi giorni, facendo il trasloco, mi sono capitati in mano i miei vecchi manuali di letteratura italiana del liceo e mi sono trovata a chiedermi se il mio modo di pensare e di vedere il mondo sarebbe stato diverso se là dentro avessi trovato anche delle donne. Non lo saprò mai con certezza, ma io credo di sì.