Le ragazze stanno già salvando il mondo

Di Giulia Farina

Il clima è una questione femminista?

I più a sentir parlare di “ecofemminismo” storcono il naso, arrovellandosi nel cercare di comprendere cosa sia e perché le femministe debbano occuparsi persino dell’ambiente.

Cercherò di fornire una risposta a entrambi i punti rilevando inoltre i profili di studiose, politiche e attiviste che si stanno impegnando nella costruzione di un sistema più giusto e inclusivo.

Partiamo dal primo punto: quando si parla di ecofemminismo ci si riferisce a una corrente del femminismo che evidenzia il legame tra subordinazione delle donne e distruzione ambientale, battendosi nel raggiungimento della parità di genere all’interno della crisi ecologica.

Per quanto concerne il secondo interrogativo in parte abbiamo già risposto, ma per ampliare la prospettiva mi servo del saggio di Bruna Bianchi “Genere, generazioni e cambiamento climatico. Temi e questioni per una rubrica“, che si occupa di tracciare l’impatto dei disastri ambientali sulle donne e quali siano i  rapporti di potere che hanno condotto all’attuale crisi.

Bianchi spiega che fin dell’Ottocento le femministe hanno esplorato i legami tra patriarcato, capitalismo, colonialismo e violenza sulla natura, sottolineando l’importanza delle disuguaglianze di genere nel determinare il destino delle donne nel corso dei disastri ambientali.
A questo proposito si ricordano anche gli studi della sociologa Amber Fletcher, che ha constatato come alle donne, in alcuni Paesi, non venga insegnato il nuoto, il che conduce alla loro morte in caso di alluvione.
E ancora, Lorena Aguilar, che fino al 2018 è stata Global Senior Advisor e Global Director of the Governance and Rights Program of the International Union for Conservation of Nature, ha valutato il rischio di morte corso dalle donne nel manifestarsi dei disastri ecologici riportando che le stesse corrono un pericolo di 14 volte superiore agli uomini.

I motivi?

Molteplici, tra cui il fatto che spesso alle donne non arrivano i messaggi di allarme (poiché segregate in casa) o ancora sono rallentate dalla responsabilità di trarre in salvo bambini e anziani.
I numerosi studi femministi che si sono occupati del tema, che per ora rimangono esigui e dai dati spesso incompleti, hanno dunque portato alla luce i diversi gradi di vulnerabilità da un punto di vista di genere.

La parità di genere è dunque fondamentale nella lotta alla crisi climatica e in Italia a sostenere questa prospettiva è, ad esempio, Laura Cima, Presidente del primo Gruppo Parlamentare Verde a maggioranza femminile.
La stessa sostiene l’imprescindibile necessità di una visione più inclusiva, che realizzi quanto la crisi che stiamo vivendo potrebbe essere l’occasione per rifondare un ordine con premesse più inclusive.
In un articolo pubblicato sul suo blog il 2 agosto 2022 e intitolato “Cosa vogliamo noi ecofemministe” Cima si riferisce a una “società della cura”, espressione che si lega alle prospettive di Vandana Shiva, economista e attivista indiana. L’esperienza di quest’ultima ha inizio quando, poco più che ventenne, si unì al movimento femminile non violento Chipko, nato per fermare la deforestazione negli altopiani dell’India settentrionale. Da lì in poi la donna è diventata protettrice della biodiversità, avversaria degli Ogm e sostenitrice di una vera green economy, basata sulla circolarità e la rigenerazione.

Per introdurla desidero riportare uno stralcio di un testo scritto e recitato dal drammaturgo Giuseppe di Bello:

“La natura è eterna, sacra è armoniosa” diceva Plinio il Vecchio “E l’uomo è un elemento della natura e deve, dovrebbe, vivere secondo le sue leggi”

Ascoltando queste parole mi è subito venuto in mente il volume di Shiva dal titolo “Dall’avidità alla cura. La rivoluzione necessaria per un’economia sostenibile“. Il saggio prefigura il necessario cambiamento da un’economia capitalista, basata sullo sfruttamento di persone e risorse, a un’economia della cura.

Ma cosa si intende?

Un sistema che ha a cuore la Natura, consapevole che la sua salute è interconnessa a quella degli esseri umani.
Shiva si scaglia con forza contro il capitalismo e tutte le aziende che si sono arricchite sfruttando violentemente le risorse disponibili e reclama una rivoluzione ecologica che rispetti maggiormente gli equilibri del Pianeta.
Seguire l’armonia significa intervenire attraverso la creazione di sistemi virtuosi. L’azione umana, infatti, non è intrinsecamente negativa, anzi in questo momento un intervento è quanto mai necessario per contrastare il deterioramento del nostro Pianeta.
The Vision nell’articolo “Per contrastare la crisi climatica dobbiamo costruire ecosistemi virtuosi, imitando la natura” propone una prospettiva quanto mai inerente: al centro occorre posizionare la cooperazione, anche economica e sociale, dell’uomo con la natura.

A parlare di cura è anche Gro Harlem Brundtland, politica e attivista norvegese.
La Brundtland di formazione è medico e questo le ha consentito di nutrire una spiccata sensibilità nei confronti della salute umana, da lei considerata interconnessa con quella della natura.
Avviata la carriera politica appena ventinovenne, arrivò ad essere nominata Presidente della Commissione mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo dalle Nazioni Unite: il suo contributo alla teoria dello Sviluppo Sostenibile fu fondamentale e venne riassunto nel documento “Our common future” contenuto all’interno del Rapporto Brundtland (1987).
Nello stesso si precisa la necessità di uno sviluppo che sia sostenibile da molteplici punti di vista, che si estende dalla tutela ambientale alla riduzione della povertà alla parità di genere.
Nel rapporto, dunque, si parla di uno “sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”.

Da quanto emerso finora si comprende come, nel progettare soluzioni al contrasto del cambiamento climatico, non si possano ignorare le donne e le loro prospettive, altrimenti il rischio – che è già realtà – diviene un acuirsi delle disparità sociali. L’obiettivo comune deve essere ripensare il sistema nella sua complessità nel segno di uno sviluppo sostenibile e inclusivo.