Donne e natura. Perché il femminismo non può prescindere dalla salvaguardia dell’ambiente

Di Elena Esposto

La storica associazione tra il femminile e la Natura è stata per moltissimo tempo uno strumento di oppressione. Spesso spacciata per una simbiosi mistica, quasi magica e perciò guardata con condiscendenza o con sospetto, è stata per secoli enfatizzata e strumentalizzata dal patriarcato per imporre il proprio dominio sia sulle donne che sulla Natura. Quest’ultima rigorosamente opposta alla cultura, rappresentata dal maschio che per una dinamica che qualcun* saggiamente ha chiamato “l’invidia dell’utero” fin dalle origini ha cercato di impossessarsi e di plasmare ciò che non gli apparteneva, e in gran parte non riusciva a capire.

In sostanza è andata più o meno così. In principio erano le comunità di cacciator*/raccoglitor* che non conoscevano il misterioso meccanismo della riproduzione e consideravano le donne come esseri magici e sacri, le uniche in grado di creare vita e quindi di mandare avanti la specie. Fu da questo che nacquero le prime religioni delle grandi dee, delle quali ancora oggi restano tracce nelle statuette delle cosiddette “veneri” paleolitiche.

Il punto di rottura si ebbe con la stanzialità. Alla raccolta si sostituì l’agricoltura (nella quale predominavano ancora le donne, da sempre grandi conoscitrici del mondo vegetale) e alla caccia l’allevamento. Fu la convivenza con gli animali domestici e l’osservazione dei loro comportamenti che portò alla comprensione del ruolo del maschio nella riproduzione. L* nostr* antenat* scoprirono il nesso tra accoppiamento e gravidanza, e quello fu l’inizio della fine dell’assetto matriarcale della società.

Spogliate della loro divinità le donne vennero presto relegate al ruolo di semplici incubatrici. La successione passò ad essere per linea paterna e per essere sicur* di chi fosse effettivamente il padre (nel frattempo era nata anche la proprietà privata quindi era fondamentale assicurarsi che i beni fossero tramandati a figli “legittimi”) si istituì la monogamia (femminile) e la famiglia. Insomma, come spiega bene Engels in un famoso saggio in un colpo solo l’umanità vinse la famiglia, la proprietà privata (e lo stato).

Il patriarcato aveva fatto jackpot. A quel punto poteva disporre, anche grazie al dispositivo della violenza che fino a quel momento non era stato comune nei gruppi matriarcali, come meglio credeva della comunità e dell’ambiente.
Le grandi dee divennero così dei (padri, maschi, onnipotenti e francamente anche un po’ stronzi); la Natura venne sottomessa alla Cultura; la capacità (pro)creatrice sostituita con quella distruttrice delle armi e della violenza.
Le donne, ormai diventate una proprietà degli uomini, vennero completamente estromesse dalle loro attività. Tutto passò in mano agli uomini.

Le conoscenze millenarie del mondo naturale divennero scienza e medicina (per soli maschi) nell’ipotesi migliore, pratiche considerate demoniache nella peggiore. Coloro che provarono a difenderle e mantenerne il controllo ci rimisero la pelle in quello che di fatto fu un genocidio organizzato dalle istituzioni religiose e politiche del tempo (spoiler: sto parlando della caccia alle streghe. Per approfondimenti ulteriori vi consiglio i vari lavori di Silvia Federici).

In questo contesto il concetto di Natura che rimase appiccicato alle donne non aveva più niente a che fare con quello originario, di grande connessione, conoscenza e comprensione del mondo naturale. Al contrario, divenne una specie di zavorra, qualcosa da cui emanciparsi, qualcosa che rendeva le donne profondamente diverse dagli uomini e per questo impossibilitate a essere considerate alla pari.
Che fossero le mestruazioni, la gravidanza, una maggior connessione con il mondo emotivo la “natura” cui le donne venivano associate richiamava tutta una serie di aspetti irrazionali, primitivi, quasi bestiali usati come pretesto per escluderle dalla vita pubblica.
Gli uomini invece, esponenti altissimi della cultura e della razionalità, completamente liberi dai legami pulsionali e naturali, potevano guidare il mondo verso le soglie del progresso.

(Risate.)

Perché sì, farebbe quasi ridere se non fosse tragico.

L’imposizione violenta del dominio patriarcale sulle donne ebbe come conseguenza la sottomissione della Natura. Persi i legami profondi, la comprensione dei cicli e dei ritmi naturali, persa l’idea che siamo tutt* parte di una rete più grande che unisce ogni essere vivente, pianta o animale che sia, la Natura divenne solo una risorsa da sfruttare, da piegare alle logiche capitalistiche di produzione e consumo e non fu più un soggetto con il quale relazionarsi con quel rispetto di cui il patriarcato è tristemente incapace.

Il riconoscimento della comune oppressione di donne e Natura è stata più volte sollevata nella storia del pensiero delle donne, ma fu Françoise d’Eaubonne nel saggio Le féminisme ou la mort, a coniare il termine “ecofemminismo”, promuovendo un’unica lotta per l’emancipazione femminile e della Natura.

Forse non è un caso che de* tant* attivist* ambientali quelle che hanno saputo comprendere al meglio i problemi e risolverli siano state delle donne. Di alcune di loro abbiamo già parlato qui, ma molte altre resterebbero da citare. Greta Thunberg, Rachel Carson , Wangari Maathai, Laura Conti…

Persone straordinarie e figure importantissime nella lotta ecofemminista. Donne che hanno compreso che la vera emancipazione non deve avvenire dalla Natura, ma con la Natura. Solo così la liberazione dall’oppressione potrà essere autentica e completa.