Il futuro arriva alla Biennale di Venezia

Di Elena Esposto

Lo scorso 20 maggio, a Venezia, è stata inaugurata la 18^ Biennale di Architettura curata dall’architetta ghanese-scozzese Lesley Lokko.

Lokko, autrice di best sellers e fondatrice dell’African Futures Institute, pionieristico think thank pan-africano ad Accra, capitale del Ghana, è la prima curatrice di origini africane a guidare la storica esposizione.

Cresciuta tra Accra e Dundee, sulla costa scozzese, Lokko si muove abilmente tra mondi anche molto distanti fra loro, e negli anni di esperienza e di insegnamento ha affinato la sua capacità di abitarli e interpretarli.
In questo sente molto vicino a sé il suo continente di origine in grado, come ha dichiarato, di essere molte cose insieme: moderno e tradizionale, africano e globale, colonizzato e indipendente.

Secondo Lokko esiste un robusto filo conduttore che collega i vari Paesi del continente fra loro e con le comunità della diaspora africana nel mondo, ed è proprio questo legame e questa forza che ha voluto portare a Venezia quest’anno, in un’esposizione che prevede che più della metà degli 89 partecipanti sia di origine africana.

“È un’opportunità per parlare al resto del mondo dell’Africa” ha detto Lokko “e anche per parlare all’Africa da qui.”

“Quando sei african*” continua “parli a un mondo che ha già una visione di chi e che cosa sei. Vai in giro con questo tipo di etichetta. Per me la Biennale è un’opportunità per parlare sia di questa etichetta, e per metterla in discussione, sia per mostrare quanto, al di là di tutto, siamo simili”.

La decisione di dare spazio all’arte e all’architettura africana è stata una scelta importante per la Biennale, che da sempre offre un punto di vista prettamente eurocentrico, con poche eccezioni per le visioni dell’Asia e dell’America Latina, e lo è ancora di più in questo momento in cui il nostro Pianeta è scosso dalla crisi climatica, dai fenomeni di urbanizzazione, dai flussi di migrazione di massa e da un’emergenza sanitaria mondiale che forse abbiamo alle spalle, ma che sicuramente lascerà segni indelebili.

È un periodo di crisi globale dove si rende urgente, ancora più che nel passato, che siano globali anche le soluzioni.

Per Lokko alcune di queste soluzioni, almeno dal punto di vista artistico, potrebbero venire proprio dall’Africa. Il continente è attualmente quello più veloce nei processi di urbanizzazione, ma è anche quello con il minor numero di architett*. Questo non è necessariamente un male, perché l’assenza di strutture professionali vincolanti lascia spazio all’inventiva e al flusso creativo, elementi importanti per poter offrire risposte rapide, innovative ed efficaci.

“Spesso si crede che cose come l’immaginazione e la creatività siano prerogative del Nord globale” spiega Lokko “ma in realtà la bellezza, la gioia e l’ispirazione sono più facili da trovare in Paesi meno prosperi, più essenziali. E sono strumenti politici molto importanti, non frivolezze.”

E il continente africano di creatività e ispirazione è ricco, un vero e proprio “Laboratorio del futuro”, titolo che non a caso Lokko ha scelto per questa 18^ Biennale. Per lei l’Africa è il posto dove “il futuro prende forma”.

“C’è una sensazione, in particolare tra i giovani, che sia arrivato il momento di definire l’Africa secondo la loro visione. C’è la sensazione che il nostro momento è arrivato”.

Sono questi i giovani che Lokko ha voluto alla mostra, artist* e creativi più o meno famos*, alcun* del tutto emergenti, un gruppo che ha un’età media di 43 anni e dove l’artista più giovane ne ha appena 24.
Artist* che si cimenteranno con un concetto ampio di architettura che include altre forme di espressione come il cinema, il giornalismo investigativo, i metodi di riciclo e riutilizzo creativo, la rivendicazione della terra e le pratiche comunitarie.

Con questa posizione che potrebbe apparire (e probabilmente lo è) radicale Lokko non vuole però sfidare il prestigio che un certo tipo di architettura ha avuto fino qui. Il suo desiderio è mostrare che la storia dell’architettura che ci viene normalmente raccontata è incompleta e che anche altre vie sono possibili.