Aborto sotto sorveglianza: cosa sta succedendo nel Regno Unito
Di Sofia Brizio
È di due settimane fa la notizia che la polizia nel Regno Unito potrà perquisire il telefono e le abitazioni di persone che hanno avuto un aborto in circostanze sospette o giudicate potenzialmente criminali dalla polizia stessa. Le nuove linee guida del National Police Chief’s Council (NPCC) sostituiscono quelle del 2014, che non prevedevano investigazioni nel caso di aborti o morte in utero. Approvate a gennaio 2025, sono state diffuse pubblicamente solo adesso, e mentre scrivo sono ancora pochi i giornali locali che ne parlano. Ma cosa c’è davvero dietro a queste nuove regole e cosa significa per i diritti delle donne?
La legge vittoriana e gli aborti in pandemia
L’aborto in Inghilterra e Galles è ad oggi regolato da una legge di epoca vittoriana, nello specifico del 1861. L’Offences Against the Person Act condanna al carcere, se non addirittura all’ergastolo, chi si provoca intenzionalmente un aborto. Solo un emendamento del 1967 ha reso l’aborto legale, ma a determinate condizioni: la gravidanza deve essere iniziata da meno di 24 settimane, ci dev’essere una giustificazione valida per abortire tra le sette accettate dai medici, e la decisione deve essere approvata da due medici. Le ragioni ritenute opportune per abortire includono le gravidanze derivate da uno stupro o qualsiasi situazione in cui il proseguimento della gravidanza metterebbe a rischio la vita della madre o del feto, nel caso in cui gli aborti possono essere effettuati (in rari casi) anche oltre le 24 settimane.
Grazie a questo emendamento, la maggior parte delle persone che ne hanno bisogno riescono ad accedere all’aborto in maniera sicura, ma la legge vittoriana di base è ancora in vigore. Un fatto che è sempre passato più o meno sotto silenzio perché, secondo il British Medical Journal, la stragrande maggioranza degli aborti avviene entro le 10 settimane di gestazione senza troppi problemi. In Scozia, che è sotto una giurisdizione diversa, l’aborto è ancora illegale. In Irlanda del Nord, l’aborto è in teoria pienamente legale dal 2019, ma l’accesso a procedure mediche sicure rimane comunque difficile.
Con le nuove disposizioni del NPCC, la situazione potrebbe farsi ancora più complessa. La polizia avrà infatti diritto di accesso e perquisizione della casa e del telefono di chi è sospettato di aver abortito illegalmente, ma è ancora poco chiaro cosa costituisca un aborto illegale.
Una delle giustificazioni fornite dal portavoce del NPCC è che in pandemia sembra essere aumentato (in maniera infinitesimale) il numero di aborti senza piena supervisione medica. Nel 2020, a causa del lockdown e del divieto di ricevere i pazienti in presenza, i medici di base autorizzavano aborti entro le 10 settimane tramite pillola attraverso un consulto telefonico, per poi spedire le pillole per posta. La procedura si è rivelata efficiente per i medici, che hanno deciso di mantenerla anche dopo la pandemia, salvo casi eccezionali. Questa riduzione del controllo avrebbe quindi portato all’aumento infinitesimale di cui sopra. Ma è una giustificazione che non convince.
Sei donne a processo negli ultimi due anni
La giustificazione convince perché, mentre prima era rarissimo che ci fossero processi per aborto illegale, negli ultimi due anni ben sei donne sono finite sotto accusa in tribunale, tra esperienze traumatiche e trafile interminabili, pur avendo seguito la procedura approvata dal sistema sanitario nazionale (NHS). È il numero più alto degli ultimi vent’anni. Una di loro, Nicola Packer ha testimoniato finalmente due settimane fa, dopo una battaglia legale durata quattro anni. La donna aveva ricevuto le pillole per posta durante la pandemia come raccomandato, ma le aveva assunte oltre il limite legale di 10 settimane, per errore.
Secondo le stime fatte durante l’incontro iniziale con il medico, Packer sarebbe stata incinta di sei settimane e quindi entro il limite legale per assumere le pillole. Ma dopo l’aborto provocato dalle pillole, divenne chiaro che la donna era incinta di 26 settimane (oltre il limite delle 24 settimane concesse per qualsiasi aborto), motivo per cui necessitava un intervento chirurgico. “Ho detto alle infermiere che avevo avuto un aborto accidentale in stato avanzato di gravidanza, perché avevo troppa paura di dire che avevo preso le pillole,” ha dichiarato Packer in un’intervista del 27 maggio alla BBC. “Temevo che non mi avrebbero dato le cure di cui avevo bisogno [se avessero saputo delle pillole]”.
Alla fine la donna decise di dire all’ostetrica che aveva assunto le pillole prescritte dal suo medico. Fu proprio l’ostetrica a chiamare la polizia. Packer fu arrestata immediatamente dopo l’intervento chirurgico per rimuovere il feto, e tenuta in cella per 24 ore. Se questa vicenda non fosse già abbastanza terrificante, si aggiunge anche che dal punto di vista legale, il personale medico non ha il dovere di segnalare crimini sospettati alla polizia, e anzi dovrebbe dare priorità alla protezione del paziente. L’ostetrica ha quindi violato il diritto alla privacy tra medico e paziente. Non solo, l’ostetrica aveva rassicurato Packer che indipendentemente dalle circostanze, offrire cure mediche adeguate sarebbe stata la priorità, per poi andare a chiamare la polizia all’insaputa della paziente.
Misoginia e violenza ospedaliera
L’ospedale dovrebbe essere un luogo sicuro, ma per le donne non lo è quasi mai. Il caso di Nicola Packer si inserisce in un quadro già inquietante. Un report di quest’anno a cura del Women and Equalities Committee del Parlamento inglese ha rivelato che quasi il 30% delle donne nel Regno Unito non si sente a proprio agio a parlare di salute ginecologica con il personale medico per paura di essere ignorate. La percentuale è ancora più alta nel caso di persone trans, persone disabili e persone appartenenti a minoranze etniche, che spesso subiscono ulteriore discriminazione e addirittura non possono accedere agli ambulatori. Inoltre, un sondaggio di quasi 5000 donne ha rivelato che il 50% deve andare dal medico più di 10 volte prima di essere anche solo ascoltata, e il 43% aspetta più di cinque anni per una diagnosi.
A fronte delle nuove linee guida della polizia, non è difficile immaginare un peggioramento ulteriore di queste statistiche. Se la gente sa di poter trovare la polizia in ospedale, cercherà di evitare cure mediche anche a costo di rischiare la vita. È una situazione in cui controllare e limitare l’accesso all’aborto può mettere a rischio non solo la salute fisica delle donne, ma anche la reputazione e la sicurezza. Ci sono stati anche casi di donne che si sono viste sottrarre la custodia dei propri figli mentre la polizia indagava accuse di aborto illegale che si rivelavano poi infondate. Una ragazza di quindici anni che aveva avuto un aborto oltre il limite consentito dalla legge è stata fermata per strada e arrestata davanti a tutto il vicinato, distruggendo la sua privacy, negandole la possibilità di finire la scuola dell’obbligo e costruirsi un futuro.
In casi come questi, ci si chiede se sia giusto che i media ne parlino e si accaniscano come hanno fatto con Nicola Packer, la cui reputazione e privacy è stata calpestata durante tutto il processo, fino al verdetto di settimana scorsa.
C’è bisogno di accesso, non restrizioni
Dopo l’annuncio delle nuove linee guida, Il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists ha rilasciato a sua volta delle raccomandazioni, ricordando al personale medico che la decisione di interrompere una gravidanza non è mai una questione di pubblico interesse e che non deve essere quindi segnalata alla polizia. Il comunicato evidenzia inoltre come la decisione del NPCC rappresenti un grave pericolo per i diritti delle donne e delle persone con utero.
In un contesto in cui accedere agli aborti era già difficile prima del coinvolgimento della polizia, molte cliniche e organizzazioni femministe che offrono aborti (tra cui il British Pregnancy Advisory Service e MSI Reproductive Choices UK) hanno aderito a una petizione per una riforma immediata sulla legge sull’aborto. Inoltre, nelle ultime settimane, moltissime cliniche in Inghilterra hanno dichiaratamente ricevuto richieste da parte della polizia di accesso ai dati di pazienti che hanno avuto un aborto.
“Pubblicare delle linee guida così draconiane su una procedura medica perfettamente legale senza consultare le cliniche, i medici stessi e il pubblico dimostra un’allarmante volontà di ignorare per le reali conseguenze che colpiranno le donne” ha detto Louise McCudden, leader degli affari esterni per MSI Reproductive Choices UK. “Quando ci sono ancora leggi vittoriane e ingiuste a governare il corpo delle donne, non c’è da sorprendersi se aumentano le politiche retrograde che mettono in pericolo l’autonomia delle donne sul proprio corpo”.
Ciò pone anche la questione dell’accesso ai dati controllando le app del telefono. Con indicazioni poco chiare sul dovere di adempiere a una richiesta di dati da parte della polizia, non si sa ancora come le varie app di monitoraggio del ciclo mestruale risponderanno. La fondatrice di Clue, Rhiannon White, in un’intervista a Cosmopolitan ha dichiarato che non accetterà richieste di accesso ai dati da parte della polizia e ha ricordato agli utenti di impostare una password, riconoscimento facciale o impronta digitale per l’accesso ai dispositivi.
Un portavoce del NPCC ha dichiarato che “in questi casi verrebbe avviata un’investigazione solo nel caso in cui ci fosse informazione credibile su attività illegali, e nella maggior parte dei casi questa informazione arriverebbe da un medico. Ogni caso sarà trattato a parte tenendo conto delle circostanze individuali”. Visti i recenti avvenimenti, è una dichiarazione tutt’altro che rassicurante.
Transfobia, politiche anti-immigrazione e una sinistra che va sempre più a destra
Ho iniziato a scrivere questo articolo quasi due settimane fa, all’uscita della notizia su alcuni quotidiani britannici (non tutti). Faticando a trovare informazioni, ho dovuto aspettare più di cinque giorni per avere materiale sufficiente con cui lavorare. Non una parola sui quotidiani maggiori né sui social. Moltissimi tra i miei colleghi e amici non avevano idea di cosa stessi parlando quando mi confrontavo con loro per avere più informazioni. Se da una parte sono sorpresa che una notizia così grave sia passata sotto silenzio per giorni, dall’altra non c’è da stupirsi guardando al panorama politico generale del Regno Unito.
Il governo laburista, eletto nel 2024, non è favorito nei sondaggi. Temendo di perdere le prossime elezioni, ha iniziato ad allineare le proprie politiche con il partito che nei sondaggi va per la maggiore: si tratta di Reform, il partito di estrema destra guidato da Nigel Farage. Non avrei mai pensato di vedere attuate politiche di destra da un governo di sinistra, eppure il leader laburista Keir Starmer, dall’inizio del suo mandato, tra le altre cose ha promosso politiche di austerity per le pensioni di invalidità, appoggiato la decisione della Corte Suprema di definire le donne biologiche in maniera discriminante per le persone trans, e pubblicato una proposta di riforma sull’immigrazione che renderebbe molto difficile l’ingresso nel Regno Unito a chi non ha ancora il permesso di soggiorno e ancora più difficile l’ottenimento della cittadinanza.
Tutto ciò è successo negli ultimi sei mesi, a una velocità tale che persino i media locali faticano a tenere il passo. In mezzo a queste tattiche per sommergere la popolazione di cambiamenti, forse non è un caso che questo attacco ai diritti delle donne sia passato in sordina, specialmente se consideriamo che pare che dietro a queste nuove regole della polizia ci sia lo zampino di organizzazioni antiabortiste.
In un mondo che vira politicamente sempre più a destra (anche quando in teoria dovrebbe essere a sinistra), è inevitabile fare paragoni tra la situazione del Regno Unito e l’annullamento della sentenza Roe v Wade negli Stati Uniti. La regressione in materia di diritti riguarda tutte e soprattutto può dirci molto sulla direzione in cui sta andando il mondo. Non è necessario guardare molto lontano per capire che ci stanno portando via libertà di base una dopo l’altra, e sta succedendo tutto sotto il nostro naso.