Di mamma (NON) ce n’è una sola
Di Elena Esposto
Quando avevo sedici anni, ho vissuto per dieci mesi con una famiglia che non era la mia.
Nel senso che non era la mia famiglia biologica, ma semplicemente delle persone che, per quasi un anno, si sono prese la responsabilità della mia cura e della mia educazione.
Un’adolescente non troppo facile, con la quale non avevano alcun legame di sangue. Non l’hanno fatto perché non avevano altra scelta (i miei genitori biologici erano vivi e vegeti, e non sarei rimasta in mezzo a una strada, per capirci), ma solo perché volevano farlo.
Forse anche per questo, quando sento esponenti della destra retrograda che ci governa fare polemica sul concetto di “madre intenzionale”, in parte mi spazientisco e in parte non comprendo.
Non dovrebbe sempre esistere, nella maternità, un aspetto intenzionale?
Certo, non possiamo aspettarci una tale finezza di pensiero da chi considera l’aborto un crimine e pretende che le donne si accollino perfino i figli dello stupro. Ma mi piacerebbe comunque capire come possa, questa élite illuminata, pensare che basti sparar fuori un marmocchio dal proprio canale vaginale per poter essere considerate madri.
La letteratura, il mito, la teoria psicologica e perfino i media ci tartassano con infiniti elenchi di madri orribili: madri assenti, madri assillanti, madri narcisiste, madri fredde, madri castranti, madri fagocitanti, madri annullate, madri folli, madri assassine, madri vergini.
Potremmo stare qui ore a discutere su come queste maternità distorte siano figlie della cultura patriarcale in cui siamo immerse (e forse un giorno lo faremo). Per ora mi limiterò a notare che, tra questa compagine materna, mi pare che la madre intenzionale sia ancora la meno peggio.
Come si possa pensare che riconoscere legalmente la genitorialità di una madre non biologica, che si assume la responsabilità della cura di un altro essere umano, non sia progresso, davvero non lo potrò mai capire. Semmai dovremmo iniziare a considerare un’aberrazione il contrario.
Come scrive Sophie Lewis nel pamphlet Abolish the Family: “Restringere il numero di madri alle quali un* bambin* può avere accesso sulla base dell’esistenza di una ‘vera’ madre non è necessariamente una forma d’amore degna di questo nome.”
La recente sentenza della Corte Costituzionale, che approva che i bambini nati grazie alla PMA realizzata all’estero possano avere due madri ed essere iscritti all’anagrafe come figli di entrambe, è un primo passo importante verso il riconoscimento della genitorialità (e più in generale dei legami familiari) dal punto di vista della responsabilità e non della biologia.
L’inglese, che è una lingua molto più versatile dell’italiano, distingue tra mothering (l’azione di essere madre) e motherhood (la maternità biologica). Due concetti che non necessariamente si implicano a vicenda. Si può essere madri senza aver partorito, e partorire senza essere madri. Ciò che conta è l’azione, l’impegno, la responsabilità — non lo status biologico.
Prima ce ne renderemo conto, prima riusciremo a superare il concetto patriarcale della famiglia, costruendo gruppi sociali in cui essere madri non è più un obbligo, e in cui l’amore e la cura sono scelte riconosciute e tutelate dalla legge.
Come scrive Derek Jarman in Modern Nature:
We can laugh at the house of cards called the Family. We demand one right — ‘equality of loving before the law’ — and the end of our banishment from the daylight.